Si sta avvicinando il momento del lancio di Ethereum 2.0, o semplicemente il nuovo Ethereum, che abbandonerà il mining basato sull’algoritmo di consenso Proof-of-Work (PoW), in favore del più moderno e meno inquinante Proof-of-Stake (PoS). Grazie al nuovo algoritmo, le probabilità di scrittura di un blocco verranno determinate in base al numero di criptovaluta posseduta, anziché in base alla capacità computazionale utilizzata.
Per alcuni questo evento rappresenta una concreta possibilità di sorpasso della seconda criptovaluta per capitalizzazione su Bitcoin, tanto legato all’obsoleta pratica del mining e al grande consumo energetico che ne consegue. Ma sarà davvero così? A cosa serve tutta questa energia?
In questo articolo non approfondiremo i tecnicismi del processo di mining, degli algoritmi di consenso e nemmeno l’impatto ambientale per l'estrazione di Bitcoin. Ci occuperemo invece di temi come la reale utilità del mining e l’esplorazione di soluzioni alternative, per capire se si tratta di uno spreco e se è possibile farne a meno.
Energia e concetto di spreco
Il termine energia indica la capacità di compiere un lavoro, di emettere luce o di produrre calore. Il movimento dei fluidi, il vento, il fuoco e il cibo sono alcune importanti fonti di energia presenti in natura. Il consumo energetico è alla base di tutte le attività umane; pertanto, non è un’esagerazione definire l’energia come la forza trainante della nostra civilizzazione.
Il concetto di spreco, invece, indica l’utilizzo di una risorsa in quantità eccessiva o comunque non adatto ai risultati conseguiti. È di per sé un comportamento antieconomico, che non può essere perpetrato nel tempo senza farsi carico dei costi.
Per capire se il consumo energetico di Bitcoin è uno spreco, bisogna chiedersi che uso ne viene fatto e se è possibile ridurre i consumi arrivando allo stesso risultato. Giungere a conclusioni affrettate senza passare da questi interrogativi, significa voler screditare deliberatamente Bitcoin, discriminare l’industria del mining rispetto ad altri settori o semplicemente fare propaganda sulla base di altri interessi.
A cosa serve l’energia utilizzata per il mining?
Come emerge anche dai dati sul consumo energetico, il mining è diventata un’attività a livello industriale, in grado di attrarre grossi investimenti sia in termini di infrastrutture, che a livello di ricerca e sviluppo. Solo questo dovrebbe bastare per capire che si tratta di un prodotto richiesto dal mercato, che la gente è disposta a pagare. Ma a cosa serve realmente questa energia? Ci sono metodi alternativi per farne a meno?
Il mining utilizza l’energia per dare immutabilità alla blockchain. La sicurezza dei pagamenti viene garantita dai miner, che competono tra loro per risolvere un enigma crittografico grazie al consumo di energia computazionale. Il più veloce tra loro potrà di scrivere un blocco di transazioni, incassando la ricompensa sottoforma di emissione di nuovi Bitcoin e costi dei trasferimenti processati.
Il fatto che gli attori siano tanti e che partecipino tutti con grande impegno assicura la decentralizzazione, donando a Bitcoin quelle caratteristiche che lo rendono resistente alla censura e non controllabile da un ente centrale. Il costo energetico per produrre un nuovo blocco di transazioni è lo stesso costo che dovrebbe sostenere un malintenzionato per cambiare la storia recente dei pagamenti a suo favore. Quindi di fatto il mining di Bitcoin consuma energia in cambio di sicurezza.
Nel mondo della finanza tradizionale la sicurezza dei pagamenti viene garantita dagli intermediari come le banche, gli organi di controllo, le istituzioni e gli enti governativi e altri attori coinvolti. Per capire quale sia il sistema più efficiente bisognerebbe paragonare il fabbisogno energetico di Bitcoin, con quello di tutto il sistema della finanza tradizionale, inclusi edifici, computer, macchinari per la stampa e relativi dipendenti che si spostano per raggiungere il posto di lavoro.
Il mining è il modo più efficiente che Satoshi Nakamoto, l’inventore di Bitcoin, ha trovato per dare sicurezza all’intero sistema senza ricorrere ad intermediari. Ad oggi il mining di Bitcoin consuma 247 TW/ora, mentre il sistema della finanza tradizionale è così inefficiente che non è possibile misurarlo.
Soluzioni alternative al mining: Proof-of-Work o Proof-of-Stake?
In molti pensano che Nakamoto abbia ideato l’algoritmo di consenso PoW senza conoscere l’alternativa PoS. In realtà il PoS era già stato considerato ai tempi dell’invenzione di Bitcoin, ma si è scelto di scartare questa soluzione perché intrinsecamente meno sicura.
L’algoritmo PoS se da un lato permetteva un consumo energetico inferiore, dall’altro imponeva un minor livello di decentralizzazione, dando più potere ai maggiori possessori di quella criptovaluta. Essi sarebbero stati in grado di mantenere valide più versioni della storia dei pagamenti allocando un certo quantitativo di criptovaluta su ciascuna di esse, potendo potenzialmente modificare le transazioni passate in proprio favore. Questo effetto, oggi mitigato con diversi accorgimenti, evidenzia un comportamento opposto al PoW, dove con il passare del tempo diventa sempre più costoso modificarne lo storico.
Un altro fattore che ha contribuito all’adozione del PoW è stata la capacità di definire l’emissione di nuova criptovaluta senza favorire nessun partecipante alla rete, ma bensì utilizzando il solo schema di ricompense definito per il mining. Vien da sé che non può esistere un PoS puro, in grado di emettere inizialmente nuovi asset sulla base dello “stake” posseduto (che non esiste ancora), a meno che non si sia effettuata una distribuzione precedente a determinati soggetti, che avrebbero comunque un ruolo predominante rispetto agli altri.
Il mining basato su PoW slega il numero di Bitcoin posseduti sia dal processo di scrittura delle transazioni, sia dall’emissione di nuova valuta digitale. In conclusione, l’alternativa PoS permette il funzionamento di criptovalute con un consumo energetico più basso, ma non offre le stesse caratteristiche in termini di decentralizzazione e sicurezza, che possono essere ottenute aggiungendo il costo energetico richiesto dal PoW.
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