Per azione si intende l’unità minima di partecipazione di un socio al capitale sociale di una “società per azioni”.
Le azioni devono avere tutte lo stesso valore nominale, cioè devono essere quote di uguale entità. Acquistando una o più azioni si diventa soci (o azionisti): ciò significa che si possiede una o più quote della società con tutti i diritti, come la partecipazione agli utili e agli oneri così come l’incasso delle perdite.
Con l’acquisto delle azioni di una determinata società si diventa quindi soci della stessa e si ottengono due tipologie di diritti:
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Amministrativi: il socio, ad esempio, ha il diritto di intervento nell’assemblea dei soci, il diritto di voto e di proporre candidati per le funzioni amministrative della società
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Patrimoniali: chi possiede azioni di una società ha il diritto di ricevere una parte degli utili e guadagnare dalle fluttuazioni delle quotazioni in borsa
Motivazioni per la quotazione in borsa
La divisione del capitale in tante quote e la loro successiva collocazione sul mercato permette alla società di finanziare le proprie attività, inoltre essere quotati in borsa favorisce l’aumento di credibilità e visibilità.
La quotazione in borsa di un’azienda crea delle opportunità anche per il risparmiatore, in quanto ha la possibilità di investire il proprio denaro in essa.
Che cos'è il dividendo?
Il dividendo è quella parte degli utili che una società quotata in borsa può decidere di pagare ai propri azionisti.
Per ottenere i dividendi basta essere in possesso delle azioni della società al momento del pagamento, ossia allo stacco del dividendo.
Per avere diritto alla quota degli utili bisogna acquistare il titolo un certo numero di giorni prima dell’effettivo pagamento: ad esempio, le azioni italiane devono essere comprate almeno 3 giorni prima.
Non tutte le società pagano i dividendi e, in questo caso, gli utili vengono trattenuti in azienda e utilizzati per lo sviluppo delle varie attività interne. In questo contesto l’ammontare degli utili non distribuiti si riflette sul valore del titolo.
Come si calcola il dividendo
Il dividendo è calcolato come il rapporto tra gli utili distribuiti e il numero di azioni che compongono il capitale sociale dell’azienda.
Ad esempio, la società ha deciso di stanziare 200.000 euro di utili da distribuire e il capitale sociale è costituito da 250.000 azioni. Quindi, il giorno dello stacco, per ogni azione posseduta l’azionista riceverà un dividendo pari a 200.000 / 250.000 = 0,8 euro.
Di conseguenza, se abbiamo 10.000 azioni in portafoglio, riceveremo un dividendo totale di 10.000 X 0,8 = 8.000 euro, a cui saranno naturalmente applicate le tasse vigenti.
Come è possibile guadagnare con le azioni?
È possibile guadagnare con l’acquisto delle azioni in due modalità differenti, che però si possono anche integrare in modo molto efficace:
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Attraverso l’incasso dei dividendi
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Tramite il rendimento generato dalle azioni
Il rendimento è determinato dall'incremento o dal decremento del valore dell'azione in un dato periodo, a cui vanno aggiunti eventuali dividendi pagati nello stesso lasso temporale.
Ipotizziamo di acquistare un’azione al prezzo P1 al tempo T1 e di rivenderla al prezzo P2 al tempo T2. Se P2 sarà maggiore di P1 avremo conseguito un guadagno, derivante dalla differenza tra P2 e P1 per la quantità di azioni che abbiamo venduto. Inoltre, se nel periodo intercorso tra T1 e T2 ci sarà stato lo stacco del dividendo, otterremo un ulteriore guadagno.
Gli investitori possono essere classificati in “cassettisti” o “speculatori” a seconda degli obbiettivi che si prefiggono con l’acquisto delle azioni.
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Cassettisti. Sono interessati principalmente all’incasso dei dividendi e ai diritti amministrativi. Naturalmente cercano anche di guadagnare dalla differenza di prezzo tra acquisto e vendita e tendono a mantenere il titolo in portafoglio per un lungo periodo di tempo
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Speculatori. Tendono a mantenere le azioni per un breve arco temporale, puntando a realizzare plusvalenza tra acquisto e vendita. Gli speculatori non sono interessati alla vita amministrativa dell’azienda e non hanno come obiettivo il conseguimento del dividendo, in quanto detengono il titolo per poco tempo.
Quali tipi di azioni esistono?
Una prima distinzione può essere fatta tra azioni private e azioni pubbliche.
Azioni private
In genere quando un’azienda viene fondata è costituita dai fondatori e dagli eventuali investitori. In questa fase, le azioni vengono definite “private”, non sono facilmente scambiabili e il numero di investitori è generalmente limitato a pochi individui.
Azioni pubbliche
Crescendo, l’azienda necessiterà di maggior capitale, motivo per cui potrebbe emettere nuove azioni al fine di far partecipare nuovi investitori. Cosi facendo le quote dei fondatori e degli investitori verrebbero diluite: le loro quote, in percentuale, calerebbero.
Se l’azienda continua a crescere, spesso capita che i primi investitori diventino desiderosi di vendere le loro azioni e monetizzare i profitti dei loro investimenti iniziali. Allo stesso tempo, la società stessa potrebbe aver bisogno di più investimenti rispetto alle cifre che gli investitori privati sono in grado di offrire.
A questo punto la società considera un'offerta pubblica iniziale, o IPO (initial public offering), trasformandosi da una società privata a una società pubblica.
Esistono diverse tipologie di azioni che si differenziano in base ai diritti che possono essere esercitati dai possessori.
Le principali categorie presenti sul mercato sono le seguenti.
Azioni ordinarie
Si tratta delle classiche azioni quotate in borsa, che rappresentano la quota del capitale di una società e costituiscono la maggior parte delle azioni emesse.
Le caratteristiche principali sono:
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Omogeneità di valore: le azioni sono tutte di uguale importo
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Omogeneità di emissione: non possono venire emesse per valori inferiori al valore nominale, in quanto rappresentano la frazione più piccola del capitale sociale
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Omogeneità di diritto: conferiscono ai possessori uguali diritti
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Omogeneità di unità: sono indivisibili. È ammessa la proprietà comune, ma in questo caso i comproprietari dovranno essere rappresentati da una sola persona
Acquistando anche solo un’azione il possessore diventa socio a tutti gli effetti della società e può usufruire dei seguenti diritti.
Diritti amministrativi
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Diritto di intervento in assemblea
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Diritto di voto in assemblea
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Diritto di impugnare le delibere dell’assemblea
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Diritto di poter controllare i libri sociali
Patrimoniali
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Diritto alla percezione degli utili, ossia il dividendo
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Diritto alla quota di liquidazione (capitale residuo finale)
Misto
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Assegnazione di azioni in caso di aumento gratuito di capitale
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Diritto di opzione in caso di aumento di capitale
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Diritto di recesso
Nel lungo periodo le azioni ordinarie, grazie alla crescita del capitale, tendono a produrre dei rendimenti superiori rispetto ad altri strumenti finanziari.
Questo rendimento più elevato e gli altri diritti sopra elencati, tuttavia, hanno un costo. Infatti, possedendo delle le azioni ordinarie si partecipa alle sorti dell’azienda, inclusa la possibilità di perdere l'intero importo investito, se la società dovesse fallire.
Se un'azienda fallisce e liquida, gli azionisti comuni non riceveranno denaro finché non saranno pagati i creditori, gli obbligazionisti e gli azionisti privilegiati.
È utile sottolineare che più azioni si possiedono e maggiori saranno, in proporzione, i diritti e i poteri di cui si godrà: il voto di chi ha 10.000 azioni varrà il doppio di chi ne ha 5.000 e lo stesso vale per i dividendi ricevuti.
Alcuni diritti, come la convocazione delle assemblee o il diritto di denuncia al tribunale, spettano solo a chi possiede una determinata quantità di azioni (definita a priori), il cui numero, di norma, non potrà mai essere raggiunto dal piccolo risparmiatore.
Azioni privilegiate
Le azioni privilegiate di solito non sono dotate del diritto di voto e chi detiene questo tipo di azioni generalmente viene ripagato con un dividendo fisso, o più alto rispetto a quello destinato ai possessori di azioni ordinarie. Ricordiamo infatti che i possessori di azioni ordinarie ricevono un dividendo solamente se il consiglio di amministrazione decide di distribuirlo.
I possessori di azioni privilegiate hanno un diritto di priorità nella ripartizione degli utili, in quanto dovranno essere soddisfatti prima rispetto ai soci ordinari.
Un ulteriore vantaggio è che, in caso di liquidazione, gli azionisti privilegiati sono pagati prima dell'azionista ordinario (ma sempre dopo detentori di debito e altri creditori).
Le azioni privilegiate possono anche essere "callable", il che significa che l'azienda ha la possibilità di riacquistare le azioni da parte degli azionisti preferiti in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione, solitamente per un premio.
Le aziende possono personalizzare diverse classi di azioni per soddisfare le esigenze dei loro investitori. La ragione più comune per la creazione di classi di azioni è quella di mantenere il potere di voto concentrato in un determinato gruppo. Pertanto, diverse classi di azioni sono dotate di diritti di voto diversi.
Ad esempio, una classe di azioni potrebbe essere detenuta da un gruppo selezionato che riceverebbe, per esempio, dieci voti per azione, mentre una seconda classe potrebbe essere rilasciata alla maggioranza degli investitori che ricevono un solo voto per azione.
Se ci sono più classi di azioni, tali classi sono tradizionalmente designate come Classe A e Classe B.
Ad esempio, la società Berkshire Hathaway di proprietà del leggendario Warren Buffett ha due classi di azioni, con i seguenti “ticker”: "BRKa, BRKb" o "BRK.A, BRK.B".
Azioni di risparmio
Sono azioni che possono essere emesse solo da aziende che hanno azioni ordinarie quotate in borsa e presentano le seguenti caratteristiche:
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sono privilegiate nella distribuzione degli utili, che generalmente è pari al 5% del valore nominale delle azioni
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sono privilegiate sul capitale in caso di liquidazione della società
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non è possibile esercitare il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie degli azionisti
Azioni a voto plurimo
Questo tipo di azioni sono caratterizzate dal fatto che il voto di un azionista in assemblea può valere di più del valore dell’azione che possiede. In pratica si può avere diritto a più voti, a seconda di quanto stabilito nello statuto della società, rispetto alle azioni possedute.
Le azioni a voto plurimo sono tipiche delle società non quotate, ma è possibile trovarle anche in società quotate nel momento in cui fossero già presenti prima dell’entrata in borsa.
Azioni a voto maggiorato
Le società quotate possono prevedere di premiare i soci che abbiano acquistato e detenuto azioni senza interruzione per un periodo di almeno 24 mesi, concedendo dei privilegi sul diritto di voto.
Ad esempio nello statuto della società può essere presente una norma per cui, chi possiede delle azioni da più di due anni, può avere il proprio voto raddoppiato.
Con le azioni a voto maggiorato, le aziende hanno l’obiettivo di premiare l’azionariato più propenso alla gestione e meno alla speculazione.
Di contro c’è il rischio che pochi soci possano controllare le decisioni in assemblea.
Come si compra una azione
Per acquistare delle azioni di una società quotata in borsa è necessario aprire un conto titoli presso una banca o un intermediario finanziario.
Le azioni possono essere comprate in due modalità differenti:
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Allo sportello in banca. Basta comunicare il nome delle azioni che si vogliono acquistare, la quantità e specificare che si desiderano acquistare al prezzo corrente di mercato
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Direttamente dalla piattaforma internet della banca o del broker. In questo caso le stesse informazioni descritte nel punto precedente potranno essere digitate e confermate direttamente dal proprio computer
In entrambe le modalità l’acquisto sarà immediato e da quel momento, fino alla vendita delle quote appena comprate, si diventerà soci della società che è stata scelta.
Sia all’atto dell’acquisto che della vendita delle azioni, dovremo pagare una commissione alla banca o all’intermediario finanziario. La commissione può essere espressa in percentuale rispetto all’investimento oppure con un valore fisso.
Ad esempio se la commissione è dello 0,2%, dovremo pagare questa quota sia sul valore dell’investimento iniziale che sull’ammontare all’atto della vendita.
Se invece la commissione è fissa, si pagherà ad esempio 5 euro all’acquisto e 5 euro alla vendita delle azioni, indipendentemente dalla quantità totale di denaro che abbiamo allocato sull’operazione.
L’entità e le proposte relative alle commissioni variano molto, quindi è quindi analizzare bene cosa propongono banche e broker in quanto questo balzello può incidere in modo significativo sull’utile del nostro investimento.
I dati relativi ai titoli azionari
Quando desideriamo consultare la quotazione di un titolo sui principali quotidiani e sui numerosi siti web finanziari, ci troviamo di fronte a una serie di dati utili per una veloce valutazione del titolo stesso.
Vediamo prima di tutto i dati relativi al prezzo:
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Il prezzo corrente del titolo. È il prezzo al quale il titolo viene scambiato in questo momento. Spesso capita che il prezzo, sui siti di informazione gratuita, sia in ritardo di 15 minuti
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La variazione odierna in numero di punti. È la variazione in termini di prezzo che il titolo sta subendo oggi, rispetto alla chiusura del giorno precedente
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La variazione odierna in percentuale. È la variazione in termini percentuali che il titolo sta subendo oggi, rispetto alla chiusura del giorno precedente
Ora vediamo i dati relativi alle caratteristiche dell’azione:
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Il ticker del titolo. È un codice alfanumerico che individua l’azione. Ad esempio, BIT:G, ossia il ticker del titolo Generali, è composto da BIT, che sta a indicare la borsa dove il titolo è quotato, in questo caso la Borsa italiana (BIT = Borsa ITaliana), e da G, che individua il singolo titolo, in questo caso Generali.
Il ticker è distintivo per ogni titolo e non deve per forza essere la prima lettera del nome dell’azione. Il caso dell’azione Ferrari, la nota azienda produttrice di auto sportive, ne è un esempio: infatti il ticker che individua l’azione del cavallino rampante è RACE, che in inglese vuol dire "corsa", "gara".
Digitando il ticker RACE nella barra di ricerca di Google Finance, appare infatti il titolo Ferrari, quotato alla Borsa Italiana
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Il range di prezzo delle ultime 52 settimane. Rappresenta la forchetta di prezzo in cui il titolo si è mosso nell’ultimo anno
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Il volume scambiato giornalmente. Questo dato indica la quantità scambiata durante l’ultima seduta (Vol) e la quantità media scambiata giornalmente negli ultimi 30 giorni
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La capitalizzazione del titolo. La capitalizzazione (Mkt Cap, ovvero Market Capitalization) indica il valore totale, riportato nella valuta di riferimento in cui l’azione è quotata (in questo caso in euro, essendo Generali Assicurazione quotata in Italia). Si ottiene moltiplicando il prezzo di borsa attuale per il numero di azioni in circolazione
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Il rapporto P/E, ovvero il rapporto prezzo/utili. Il rapporto P/E è un indice molto utilizzato che consente una veloce valutazione di qualsiasi azione. Il P/E è il rapporto tra il prezzo attuale della singola azione e gli utili per azione (EPS). Si può’ anche ottenere dividendo gli utili totali dell’azienda, per la capitalizzazione.
Questo indicatore mette in evidenza quante volte l’utile è contenuto nel prezzo di una azione. Un P/E basso è generalmente associato ad azioni sottovalutate, mentre al contrario un P/E alto è sintomo di sopravvalutazione
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La voce Div/yield, ovvero il dividendo accostato al rendimento percentuale.
La voce "Div" ci dice a quanto ammonta l’ultimo dividendo pagato dall’azienda agli azionisti, mentre la voce "yield" ci dice a quanto ammonta il rendimento da dividendo in termini percentuali.
Se ad esempio l’ultimo dividendo pagato è stato di 80 centesimi per azione, pari ad un rendimento del 5.24%, significa che, investendo in questo momento sul titolo e qualora ne il dividendo distribuito né il prezzo cambiassero, otterremmo un rendimento del 5.24% solamente dal dividendo.
A parità di dividendo, se il prezzo del titolo dovesse scendere, aumenterebbe il rendimento. Al contrario, scenderebbe qualora il prezzo dovesse salire
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Gli utili per azione (EPS in inglese). Questo dato è il risultato della divisione tra gli utili dell’azienda ed il prezzo dell’azione, restituendoci un numero che ci fa capire quanto dell’utile aziendale è imputabile a una singola azione.
Gli utili e il dividendo non sono la stessa cosa: il dividendo, infatti, è quella parte di utile che il consiglio di amministrazione decide di distribuire agli azionisti
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Il numero di azioni in circolazione. È semplicemente il numero di azioni disponibile sul mercato. La "B2 dopo il numero sta ad indicare la voce “Billion”, ovvero “miliardi”, mentre la M significa “milioni”
Oltre ai parametri che abbiamo visto fino adesso, che in genere sono ben visibili, ce ne sono altri che vale la pena menzionare e possono essere molto utili per la scelta delle azioni su cui investire.
Eccone alcuni tra i più diffusi:
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Price/Earnings Growth (PEG): misura la crescita degli utili per azione in proporzione al prezzo del titolo. Quanto più è elevato il valore del PEG, tanto più l'investimento è appetibile, a parità di altre condizioni.
Il PEG tende a perdere di significato se viene applicato a titoli con alto potenziale di crescita, come i titoli tecnologici
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Price/Sales: misura il rapporto fra il prezzo del titolo e il fatturato per azione realizzato dall'impresa. In altre parole, quanto si paga per acquistare un euro di fatturato dell'impresa.
Secondo alcuni investitori, questo parametro è più affidabile del PEG, perché i dati del fatturato sono meno "manipolabili" dell'utile netto
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Price/Sales Ratio (PSR): è il rapporto capitalizzazione/fatturato stimato. Questo indicatore non considera l’utile, in quanto una società può subire per qualche esercizio delle perdite che comunque non influiscono eccessivamente, se la società è sana e con un buon fatturato di vendita.
Più è basso questo rapporto e più la società è considerata solida
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Price/Book Value: mette in rapporto il prezzo del titolo con la quota di patrimonio netto ascrivibile alla singola azione. In questo caso, quanto più basso è il rapporto, tanto più conveniente è il titolo
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ROE (Return on Equity): rapporto utili netti/patrimonio netto. Serve per valutare la relazione esistente tra il capitale proprio della società e l’utile che questo capitale produce. In altri termini, ci aiuta a capire se l’investimento effettuato produce una buona redditività.
Più il ROE è alto e maggiore sarà la redditività
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ROI (Return on investiment): rapporto utile operativo/capitale totale investito. Il valore dell’utile di una società da solo non è in grado di fornire dati esaustivi sul reale grado di redditività dell’azienda. Per una valutazione più precisa è necessario confrontare l’utile con il capitale investito, in modo da evidenziare a quanto ammonta il guadagno per ogni euro di capitale investito
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ROD (Return on debt): rapporto oneri finanziari/capitale di terzi. L’indice misura il costo del denaro preso a prestito, quindi il risultato dovrebbe essere il più basso possibile. Se è elevato, significa che l’operazione di finanziamento stipulata dalla società non si è rivelata buona. In genere il ROD riflette il costo del denaro
Cos’è la vendita allo scoperto
Nei paragrafi precedenti abbiamo visto che uno dei modi per guadagnare in borsa è quello di acquistare un’azione e poi rivenderla a una quotazione maggiore, traendo profitto dalla differenza di prezzo tra le due transazioni al netto di commissioni e tasse.
Non tutti sanno però che è possibile guadagnare con il cosiddetto short selling. Questo metodo consiste nel vendere azioni senza esserne in possesso ed è possibile grazie al prestito dei titoli che banche e intermediari finanziari mettono a disposizione dei loro clienti.
Questa operazione, che è anche chiamata vendita allo scoperto, è caratterizzata dalle seguenti fasi:
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Vendita delle azioni. Il broker presta i titoli, l’investitore decide quanto investire sull’azione che ha scelto e quindi vende il titolo al prezzo stabilito
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Riacquisto dei titoli venduti in precedenza. Quando si decide di chiudere la posizione in essere, si riacquistano i titoli e la differenza tra quanto incassato dalla vendita e quanto speso durante l’acquisto rappresenterà l’utile lordo (o la perdita in caso le quotazioni non fossero andate nella direzione auspicata) dell’operazione
Vediamo un esempio per spiegare meglio il meccanismo.
L’investitore prende in prestito un titolo e lo vende a 200 euro. Successivamente il prezzo del titolo scende a 150, l’investitore decide quindi di chiudere l’operazione e lo riacquista, guadagnando così 50 euro lordi.
Se invece il titolo venduto a 200 euro non va nella direzione preventivata (ossia sale invece di scendere), nel momento in cui l’investitore deciderà di uscire dall’operazione, dovrà accollarsi una perdita. Ponendo il riacquisto del titolo a un prezzo di 230 euro, egli avrà perso 30 euro lordi.
Quando è utile la vendita allo scoperto
La vendita allo scoperto si dimostra utile in due casi specifici.
Il primo è quando si desidera approfittare dei movimenti ribassisti dei titoli che presentano andamenti repentini e possono determinare ottimi guadagni senza rimanere a mercato per troppo tempo.
La strategia di chi pratica lo short selling è quella di tenere sotto osservazione le società che hanno dei problemi finanziari e controllare assiduamente gli eventi macroeconomici che potrebbero determinare un mutamento del mercato, quindi intervengono al momento opportuno sul titolo.
Il secondo caso è quando si ha attivato un investimento al rialzo: in questo frangente si può aprire una posizione di short selling come copertura della precedente. Questa pratica è conosciuta come hedging.
Se si possiede un certo numero di posizioni al rialzo in portafoglio, si può scegliere di proteggerle dall’ eventuale andamento avverso dei mercati, aprendo altre posizioni al ribasso.
In questo caso la finalità dell’operazione non è speculativa ma ha lo scopo di proteggersi e quindi ottenere maggiore sicurezza.
Limiti della vendita allo scoperto
L’operatività in short selling è piuttosto rischiosa in quanto spesso è molto speculativa, quindi, prima di entrare a mercato, è consigliabile valutare bene le eventuali perdite a cui si può andare incontro.
Inoltre, essendo un’operatività che richiede una gestione particolare, non è idonea a chi ha ancora poca esperienza sui mercati finanziari.
I limiti principali della vendita allo scoperto sono i seguenti:
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Profitto limitato. Nel caso di vendita allo scoperto il profitto potenziale è limitato, infatti mentre l'apprezzamento del valore di uno strumento finanziario può avvenire all’infinito, il deprezzamento ha un limite inferiore che è pari a zero
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Le perdite possono essere illimitate. In linea teorica non esiste un limite alle perdite in quanto la quotazione del titolo azionario che è stato venduto potrebbe salire all’infinito. A questo rischio possiamo porre rimedio uscendo tempestivamente dalla posizione al momento opportuno
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Non si riceve il pagamento di dividendi, dato che non si possiede effettivamente il titolo che è del prestatore
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La banca o il broker richiedono il pagamento di una percentuale di interesse su base annua per ogni giorno in cui si detiene il titolo, in short selling, in portafoglio. In genere questo costo non è dovuto se l’operazione viene aperta e chiusa all’interno della stessa giornata
Quindi quando si decide di effettuare una vendita allo scoperto, oltre alle normali commissioni da pagare per entrambe le transazioni, è necessario considerare anche il costo giornaliero per il prestito titoli.
Ognuna di queste voci di costo, insieme alle tasse, eroderà il guadagno netto, quindi sarà molto importante scegliere il broker più conveniente e fare anche molta attenzione al capitale che si intende investire.
In alcune circostanze le autorità che regolamentano i mercati potrebbero decidere di vietare la vendita allo scoperto per svariati motivi. Per esempio, ciò avviene quando un settore in particolare viene colpito da molti ordini di vendita in poco tempo, quindi si decide di bloccare le vendite allo scoperto.
È possibile operare in short selling solo su alcuni titoli, infatti i broker tendono a permettere di applicare questo tipo di operatività sulle azioni più liquide.
Come vengono scambiate le azioni
Lo scambio delle azioni può avvenire in due modi:
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Direttamente all’interno delle borse dove gli scambi avvengono in una sorta di arena chiamata “floor”, tramite le cosiddette “grida”
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Nei luoghi virtuali messi a disposizione dagli intermediari finanziari, sfruttando la potenza di internet, dove gli scambi sono effettuati e registrati elettronicamente, grazie alle numerose piattaforme di trading disponibili sul mercato
Quest’ultima è diventata negli anni la modalità largamente più diffusa.
Il mercato azionario è un mercato secondario, ovvero un luogo dove i possessori di azioni, possono interagire con i potenziali compratori.
Le aziende quotate in borsa non compiono operazioni sulle proprie azioni quotidianamente (possono ricomprare le proprie azioni, facendo quello che viene definito “buy back”, oppure emettere nuove azioni, ma queste sono operazioni straordinarie).
Quando avviene uno scambio, quindi, significa che un azionista ha deciso di acquistare mentre un altro ha deciso di vendere le proprie azioni.
Come si fissa il prezzo di una azione
Il prezzo di una azione viene definito da un processo di asta, dove i compratori e i venditori piazzano le loro offerte.
In qualsiasi momento, si fissano i seguenti prezzi:
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Prezzo “bid” (Denaro) cioè il prezzo a cui un investitore è disposto a comprare una azione.
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Prezzo “ask” (Lettera) ossia il prezzo a cui qualcuno è disposto a vendere una azione
Quando i due prezzi coincidono, l’operazione viene eseguita.
Durante una trattativa finanziaria, i prezzi “bid” e “ask” sono visualizzabili nel cosiddetto book di negoziazione, un documento specifico dove sono elencati prezzi e quantità relativi alle varie proposte di vendita e acquisto di titoli e prodotti finanziari.
“Bid” e “ask” sono anche chiamati rispettivamente Denaro e Lettera, una denominazione che deriva dalle prime contrattazioni in Borsa risalenti al 1500.
A quei tempi le compravendite azionarie avvenivano in prossimità di un palazzo dove gli investitori si davano appuntamento: chi acquistava offriva appunto Denaro mentre chi vendeva offriva invece la Lettera, ovvero un documento cartaceo che sanciva l’affare appena concluso.
In alcune borse sono presenti degli operatori professionali, il cui compito è garantire un prezzo “bid” e un prezzo “ask” al fine di invogliare gli investitori a piazzare i propri ordini. Questi operatori si chiamano “market makers” o “specialists”.
Lo spread
Lo spread è la differenza tra il prezzo “bid” ed il prezzo “ask”. Si tratta di un indicatore importante in quanto se è eccessivamente ampio significa che siamo in presenza di scarsa liquidità, mentre se è stretto vuol dire che c’è una notevole liquidità e quindi commerciabilità del titolo preso in esame.
Se ci sono molti ordini, piazzati su livelli diversi, sia in acquisto che in vendita, si dice che il mercato è profondo.
Quando si parla del mercato azionario, spesso ci si riferisce a uno dei principali indici come l’indice italiano FTSEMIB, che raggruppa le 40 azioni più importanti italiane, il Dow Jones Industrial Average, che raggruppa le 30 azioni più importanti americane, oppure l’S&P500, che raggruppa le 500 azioni più importanti americane.
Tipi di ordine per acquistare o vendere azioni
In questo paragrafo analizzeremo le principali tipologie di ordine che le piattaforme mettono a disposizione per operare sui mercati azionari.
Market order (ordine a mercato)
L’ordine “a mercato” è il piu’ semplice tra i vari tipi di ordini, infatti è semplicemente una istruzione di acquisto o vendita che il broker eseguirà al miglior prezzo disponibile sul mercato.
Se vogliamo, per esempio, comprare 100 azioni Apple a mercato e i prezzi sono: Bid 139.80 dollari (100 azioni), Ask 140.00 dollari (50 azioni), Ultimo prezzo 139.95 dollari (250 azioni), questo significa che l’ultimo scambio effettuato è stato di 250 azioni al prezzo di 139.80 dollari, che 50 azioni vengono offerte da qualcuno che le vuole vendere a 140 dollari. Supponiamo che altre 200 azioni venissero offerte a 140.05 dollari, il nostro ordine a mercato andrebbe ad acquistare le 50 azioni disponibili a 140 dollari mentre le altre 50 azioni verrebbero acquistate dal pacchetto di 200 azioni, disponibili al secondo miglior prezzo, ovvero 140.05.
Occorre prestare particolare attenzione al fatto che se si vuole entrare a ogni costo sul mercato, si deve essere disposti a pagare qualcosa in più per la sicurezza che gli ordini vengano eseguiti immediatamente.
Limit Order (Ordini limite)
Gli ordini “limite” sono ordini che ci consentono di entrare sul mercato ad un prezzo migliorativo rispetto al prezzo attuale.
Il limit order prevede che il prezzo eseguito non possa essere superiore, in caso di acquisto, o inferiore, in caso di vendita, al livello di prezzo che si è impostato come limite al momento dell’inserimento dell’ordine.
In pratica con un limit order in acquisto (buy limit) vogliamo essere sicuri di comprare a quel prezzo o un prezzo inferiore, mentre con un limit order in vendita (limit sell), vogliamo essere certi di vendere a quel prezzo o a un prezzo superiore.
Per esempio, se le azioni di una società siano quotate a 15.29 euro, ma noi vogliamo comprarle solamente se il prezzo dovesse scendere fino a 15 euro per azione, ecco che dovremo utilizzare un ordine “limite”.
Lo stesso vale per una eventuale operazione “short”: qualora volessimo vendere un’azione a un prezzo superiore rispetto a quello attuale, ecco che dovremmo utilizzare un ordine limite.
All’interno di questa categoria di ordini troviamo i “target price”, ovvero dei particolari tipi di ordini che vengono inseriti al fine di chiudere con un profitto una eventuale posizione che si è diretta nella direzione preventivata.
Se, per esempio, la nostra strategia prevede di entrare al rialzo su un determinato strumento, potremmo inserire un ordine limite o “target price”, così da uscire dalla operazione con profitto una volta raggiunto il livello di prezzo sperato (che potrebbe essere il fair value di una azione, calcolato grazie all’analisi fondamentale, piuttosto che un livello tecnico suggerito da una figura dell’analisi tecnica).
Stop Order (Ordini stop)
Un ordine “stop” si ha quando si vuole entrare su un determinato mercato a un prezzo peggiorativo rispetto al prezzo attuale.
Questo tipo di ordine è usato principalmente per tagliare le perdite (stop-loss), ma anche per entrare sul mercato a un prezzo predeterminato.
Lo stop-order pone come condizione indispensabile per poter essere eseguito che prima venga toccato il livello di prezzo che abbiamo stabilito. A quel punto e solo allora diventa un market order, cioè si comporta come un ordine a mercato e l’ordine viene eseguito al più presto e al miglior prezzo possibile.
Per esempio, se acquistiamo delle azioni a 15 euro, ma vogliamo comprarle solo se dovessero raggiungere il prezzo di 15.50 euro, ecco che dovremmo inserire un ordine di acquisto “stop” quindi una volta raggiunto 15,50 euro saremmo eseguiti al prezzo di mercato.
Lo stesso vale per una eventuale operazione “short”: qualora volessimo “shortare” uno strumento finanziario ad un prezzo inferiore rispetto a quello attuale, ecco che dovremmo utilizzare un ordine stop.
All’interno di questa categoria di ordini troviamo gli “stop-loss”, ovvero dei particolari tipi di ordini che vengono inseriti dal trader al fine di limitare le perdite su una eventuale posizione errata.
Se, per esempio, la nostra strategia di trading prevede di entrare al rialzo su un determinato strumento, potremmo inserire un stop-loss appena sotto il prezzo di ingresso, così da uscire dall’operazione, limitandone le perdite, qualora non si dimostrasse corretta.
Limit Stop Order
È un tipo di ordine che contiene le caratteristiche del limit order e dello stop order. Con un limit stop order si apre una posizione long o short, ma con dei limiti ben definiti.
L’ordine infatti contiene l’indicazione del prezzo che lo fa scattare (stop order) e il limite entro il quale il prezzo deve trovarsi per poter essere eseguito (limit order).
Ad esempio se si inserisce uno stop order a 10 euro e un limit order a 11 euro, nel momento in cui il titolo tocca i 10 euro l’esecuzione avverrà entro gli 11 euro. L’ordine verrà eseguito all’interno del range 10-11 euro e non oltre.
Il rischio di questo tipo di ordini è che, durante i periodi di fast market, possono rimanere ineseguiti.
Market if touch (MIT - mercato se toccato)
Gli ordini di acquisto MIT sono collocati al di sotto del prezzo corrente, mentre quelli in vendita MIT sono posti al di sopra del prezzo attuale.
Quando il prezzo limite viene toccato, gli ordini diventano ordini a mercato la cui esecuzione potrà però essere al di sopra o al di sotto del prezzo indicato.
Order cancel order ( OCO - Uno annulla l'altro)
È un tipo di ordine che prevede l’immissione di due ordini distinti, uno in acquisto e uno in vendita. Appena uno dei due viene eseguito l’altro viene cancellato automaticamente.
Spesso viene utilizzato durante le fasi di congestione (trading-range) per sfruttare l’inizio di un movimento direzionale. Infatti, se il titolo esce al rialzo dalla fase laterale, scatterà l’ordine impostato a priori in acquisto e automaticamente si cancellerà l’ordine di vendita.
Naturalmente vale il contrario se i prezzi escono al ribasso.
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In questo caso è possibile impostare un ordine su un titolo (o su qualsiasi strumento finanziario) che scatterà solo se verrà raggiunta una determinata quotazione su un altro strumento finanziario.
Ad esempio, supponendo che un titolo energetico sia influenzato dall’andamento del petrolio, si potrà impostare un ordine limite sull’azione che si attiverà solo se lo strumento finanziario che investe sul petrolio raggiungerà un determinato livello a nostra scelta.