Il contesto macroeconomico e geopolitico che ha finora caratterizzato il 2022 avrebbe dovuto rappresentare lo scenario ideale per un rally dell'oro. Il metallo giallo si rafforza in presenza di un'inflazione persistente, perché conserva il suo valore intrinseco, e quando l'andamento dei mercati è caratterizzato da tensioni, grazie al suo ruolo di asset rifugio.
Nonostante gli ultimi 10 mesi siano stati caratterizzati da tassi di inflazione ai massimi da 40 anni, dalla guerra Russia-Ucraina (che ha destabilizzato il quadro geopolitico globale creando una crisi energetica che non si vedeva dagli anni '70) e da timori recessivi che hanno penalizzato i mercati finanziari, l'oro ha perso circa 10 punti percentuali: una performance assolutamente non in linea con le aspettative degli investitori.
Oro: perché gli investitori hanno venduto
Le motivazioni per cui l'oro ha deluso sono diverse. Tutto probabilmente è partito dagli
aumenti dei tassi d'interesse da parte della Federal Reserve. La serie di rialzi dei tassi messi in campo da marzo dalla banca centrale USA, da un lato fatto
crescere i rendimenti del titoli di Stato americani e dall'altro ha
rafforzato il dollaro USA. Si tratta di due asset che sono a loro volta beni rifugio e che, a differenza dell'oro, producono rendimenti. Quindi, per quale motivo un investitore dovrebbe detenere oro se dispone di altri porti altrettanto sicuri e redditizi?
Quando il dollaro americano sale, inoltre, tende sempre a indebolire le quotazioni dell'oro, che sono espresse appunto in dollari. Questo perché gli investitori non americani si trovano a spendere di più per procurarsi i dollari necessari per acquistare il metallo prezioso. Di conseguenza, scende la domanda della materia prima.
In aggiunta, vi è anche un'altra ragione per cui gli investitori non comprano oro. Se quest'ultimo serve come protezione dall'inflazione, finora l'istituto governato da
Jerome Powell è apparso particolarmente determinato nel controllo della dinamica dei prezzi.
Oro: i fondi che hanno perso di più
Se l'oro ha perso terreno sul mercato delle materie prime, le azioni delle società minerarie hanno fatto peggio. Le perdite spaziano dal 20% al 30% per molti fondi comuni ed ETF specializzati nel bene prezioso. Addirittura, il rosso è maggiore se si contano le perdite dai massimi primaverili raggiunti quando la Russia ha invaso l'Ucraina. Ad esempio l'ETF VanEck Gold Miners, con un patrimonio di oltre 10 miliardi di dollari, è crollato del 40% dai top di aprile.
Le società estrattrici, tuttavia, ancora hanno un buon margine. Secondo i calcoli di VanEck, per le società del settore il costo medio per oncia, che comprende l'esplorazione, l'estrazione, il sostegno del capitale e la parte amministrativa, si attesta a 1.250 dollari. Questo significa che, alle quotazioni attuali, il guadagno delle aziende ammonta a poco meno di 400 dollari l'oncia. A penalizzare i titoli del settore è il calo di redditività causato dall'aumento dei costi di estrazione dovuto all'inflazione e dalle strozzature alle catene di approvvigionamento.
Dei cinque più importanti fondi che investono sui miners di oro, ad aver accusato la maggiore perdita quest'anno è stato il VanEck International Investors Gold, che gestisce masse per 600 milioni di dollari e che ha ridotto il suo valore di circa il 27%. Segue il Gabelli Gold, che gestisce 300 milioni di dollari e ha perso il 24%. Al terzo posto un altro fondo VanEck, il Gold Miners, con 10,1 miliardi di assets in gestione, scivolato di circa il 23%. In quarta posizione troviamo il First Eagle Gold, con 1,8 miliardi di masse gestite (-15%) ed in quinta il più grande fondo basato sull'oro, ossia l'SPDR Gold Trust, che presenta un ammontare di attività in gestione di 48,6 miliardi di dollari e che ha visto diminuire il suo valore di circa il 10% in questo 2022.