Wall Street continua a essere colpita da pesanti vendite da parte degli investitori, sempre più preoccupati per l'arrivo di una recessione. Ormai si è persa la speranza che la
Federal Reserve possa invertire la sua politica monetaria fortemente restrittiva.
I dati macroeconomici non aiutano in questo senso. Ieri il Bureau of Labor Statistics americano ha rilasciato i dati sull'occupazione USA, cresciuta di 288 mila unità nel mese di settembre, ben superiore rispetto ai 275 mila nuovi occupati di agosto e ai 265 mila attesi dagli analisti. Il tasso di disoccupazione è calato nuovamente al 3,5%, dopo l'incremento di 0,2 punti percentuali al 3,7% avvenuto il mese scorso. Questi risultati sono lo specchio di un'economia americana ancora in salute, soprattutto per quel che riguarda la forza lavoro.
Quindi, dov'è il problema? L'incaglio sta nel fatto che la Fed osserva proprio il mercato del lavoro come uno dei principali parametri per decidere se allentare o meno il rialzo sui tassi d'interesse. Se l'occupazione si mantiene forte, la Banca Centrale trova libera la strada per stringere sul costo del denaro per combattere l'inflazione senza doversi preoccuparre degli effetti sull'economia. In parole povere: la Fed continuerà ad alzare i tassi ancora a lungo e questa per il mercato azionario non è una buona notizia.
Wall Street: perché le azioni non sono così rischiose per come sembrano
Dai massimi di gennaio l'indice S&P 500 è sceso di oltre il 20%, entrando tecnicamente in quel che si definisce un mercato ribassista. Ciò nonostante il benchmark è ancora costoso. Il paniere delle 500 azioni più capitalizzate è negoziato a circa 16 volte gli utili previsti per i prossimi 12 mesi, sicuramente in calo rispetto alle 21,5 volte di inizio anno. Tuttavia, il multiplo è ancora superiore se paragonato alla media di 15,4 volte degli ultimi 20 anni.
Questo farebbe pensare che le valutazioni del mercato azionario in realtà non siano per nulla convenienti, considerato soprattutto il contesto difficile. In realtà, bisogna fare attenzione perché se si prendono le singole azioni il discorso cambia. Il problema di fondo è che l'S&P 500 è ponderato per la capitalizzazione di mercato, il che implica che aziende con maggiore capitale influiscono di più. Queste di solito hanno multipli più elevati e quindi spingono verso l'alto la valutazione complessiva dell'indice.
Ad esempio, Apple ha un valore di mercato di oltre 2.000 miliardi di dollari e rappresenta da solo oltre il 7% dell'intero paniere. Le azioni di Cupertino sono negoziate a circa 23 volte i guadagni attesi, ovvero oltre il 40% del price/earnings dell'indice. Un altro titolo che incide molto è Amazon, che ha una capitalizzazione di oltre 1.000 miliardi di dollari, scambiando a ben 70 volte i profitti stimati, ossia quattro volte il multiplo dell'S&P 500.
Se si prova a considerare un peso equo di tutte le azioni del benchmark, si ottengono risultati diversi. L'Invesco S&P 500 Equal Weight ETF ne è una dimostrazione, perché pondera equamente ogni titolo, con le azioni di società minori che hanno la stessa incidenza di azioni di aziende più grandi. Infatti, in tal caso il multiplo è di circa 13 volte, al di sotto della media di 20 anni di 16,7 volte. In definitiva, all'apparenza le azioni a Wall Street sarebbero ancora rischiose; dopo uno studio più approfondito lo sono di meno.