Wall Street ha chiuso un semestre pessimo con l'ultima seduta di ieri, come mai era successo in oltre 50 anni. Le vendite che si sono susseguite in questa prima parte dell'anno hanno polverizzato oltre 9.000 miliardi di capitalizzazione del mercato azionario, secondo i dati di Bloomberg sull'indice S&P 1500, che replica aziende a media, piccola e grande capitalizzazione.
Eccezion fatta per i titoli energetici,
sono stati pochi quelli che si sono salvati quest'anno dalla mannaia delle vendite.
A dominare la scena è stata ovviamente l'inflazione, soprattutto sul fronte delle materie prime legate all'energia. Per questo le grandi compagnie petrolifere e del gas hanno tratto grande giovamento, aumentando i profitti a dismisura.
A pagare maggiormente dazio sono stati invece le azioni tecnologiche, perché il rialzo dei tassi della
Federal Reserve ha penalizzato le società che investono sulla crescita.
I titoli bancari dopo un buon inizio si sono eclissati. Infatti, le prospettive di maggiori rendimenti sul mercato avevano acceso l'interesse degli investitori, in quanto le banche avrebbero aumentato i margini d'interesse. Tuttavia, poi vi è stato il dietrofront quando si è capito che tassi più alti per combattere l'inflazione avrebbero significato una maggiore probabilità di recessione, dove il sistema finanziario viene normalmente penalizzato. Paul Leech, co-responsabile delle azioni globali di Barclays, ha affermato che il tema dominante quest'anno è stato l'inflazione e la cosa ora si è appena intensificata.
Wall Street: gli investitori temono una recessione
L'attenzione adesso viene spostata su questa seconda parte del 2022, con gli investitori che sperano di scongiurare l'arrivo di una recessione che possa far ripetere le stesse performance dei primi 6 mesi. Purtroppo, a giudicare da come si sta muovendo la Fed c'è poco da star sereni. La Banca Centrale americana ha più volte ripetuto che fino a quando l'inflazione non scenderà verso gli obiettivi dichiarati dall'istituto centrale, la politica monetaria continuerà a essere molto aggressiva.
Cosa significa questo? Presumibilmente che la Fed venderà tutto il vendibile dei titoli di Stato e mutui che detiene nel suo bilancio da 9.000 miliardi di dollari, riducendo così il denaro in circolazione, ma soprattutto che
alzerà il costo del denaro ancora molte volte per quest'anno e il prossimo. Tuttavia, il Governatore
Jerome Powell ha anche detto che una recessione non è inevitabile, accendendo una fiammella di speranza ai mercati.
Il punto è che risulta difficile far propria questa affermazione, dal momento che l'inflazione è a livelli mostruosi e per dirigerla verso il 2%-2,5% occorreranno strette da lacrime e sangue. "L'umore del mercato è molto negativo ed è dominato dalla possibilità di recessioni in USA e in Europa", sostiene Bastien Drut, strategist del gestore patrimoniale francese CPR. L'esperto aggiunge anche che sono terminati i giorni in cui si poteva fare affidamento alle Banche centrali per sostenere la crescita economica.
Secondo Scott Chronert, stratega azionario USA di Citigroup, l'inflazione così alta ha messo in secondo piano le potenziali conseguenze economiche di una risposta aggressiva della Fed. In queste circostanze, dove i tassi d'interesse sono continuamente aumentati, "gli investitori sono riluttanti ad acquistare le azioni", afferma Chronert. A giudizio degli economisti di Citigroup vi è una probabilità del 50% che arrivi una recessione e in settimana hanno abbassato le stime sull'S&P 500 da 4.700 a 4.200 punti, il che comunque rappresenta un rialzo di oltre il 10% dalle quotazioni attuali.