Lo spettro di una recessione aleggia negli Stati Uniti in maniera sempre più persistente, a mano a mano che la
Federal Reserve si accinge a inasprire la sua politica monetaria. Il pericolo segnalato da molti critici è che un atteggiamento troppo aggressivo da parte della Banca Centrale, finalizzato ad abbattere l'inflazione,
si riveli alla fine controproducente per l'economia.
La maggiore perplessità deriva dal fatto che l'indice dei prezzi al consumo americano, giunto ormai all'8,5%, non derivi da un'economia che si sta surriscaldando per effetto di un boom della domanda, ma da una deformazione sul lato dell'offerta che crea vincoli alla catena di approvvigionamento e fa lievitare i prezzi.
Di conseguenza, cercare di agire con le leve di raffreddamento potrebbe non sortire l'effetto sperato. Anzi, al contrario potrebbe far precipitare l'economia in recessione senza di fatto riuscire a calmierare il carovita. I funzionari della Fed per la verità sono anche consapevoli di tutto questo, ma al momento le alternative non sono poi molte per cercare di contenere l'avanzata inarrestabile dell'inflazione, che così alta non si vedeva dall'inizio degli anni '80.
Economia USA: ecco perché andrà in recessione
Quindi bisogna rassegnarsi a vedere una recessione negli Stati Uniti? Secondo Yoram Lustig, Head of Multi-Asset Solutions, Emea di T. Rowe Price, ci sono 3 segnali che, facendo riferimento a quanto successo in passato, non promettono nulla di buono.
Il primo segnale riguarda il prezzo del petrolio. Dalla metà degli anni '70, quasi tutte le volte che l'economia americana è regredita vi è stato un forte aumento delle quotazioni del greggio. Un'impennata di queste ultime ha preceduto 5 delle 6 recessioni a partire dal 1976. Lustig sostiene che quando l'oro nero aumenta di valore, il reddito discrezionale dei consumatori tende a scendere e questo comporta inevitabilmente un calo della domanda e un rallentamento dell'economia.
Il secondo segnale fa riferimento alla politica monetaria della Fed. La Banca Centrale, quando deve domare l'inflazione, fa affidamento alla leva dei tassi cercando di non rallentare troppo l'economia e mantenendo vivo il mercato del lavoro. Dal 1976 tuttavia l'istituto monetario è riuscito solo in 2 occasioni ad aumentare il costo del denaro senza spingere l'economia in recessione nei 2 anni successivi: nel 1983 e nel 1984. Oggi il compito è più difficile, perché il costo della vita è più determinato da strozzature dell'offerta che da una crescita sana della domanda.
Il terzo e ultimo segnale concerne l'inversione della curva dei rendimenti. Quando il rendimento dei T-Note USA a 2 anni supera quello dei Treasury Bond a 10 anni si accende una spia rossa che segnala che sta maturando una recessione. Questo perché avviene? Perché gli investitori chiedono un ritorno maggiore per prestare denaro a breve termine aspettandosi un peggioramento delle condizioni generali dell'economia. Tassi meno elevati a lungo termine invece riflettono aspettative che la Federal Reserve sarà costretta ad abbassare il costo del denaro proprio a causa del rallentamento economico. Lustig osserva che tutte le recessioni materializzatesi dal 1976 in poi sono state precedute da un'inversione della curva dei tassi.