L'accordo del Louvre rappresentò una delle massime espressioni di cooperazione a livello politico ed economico dei Paesi più sviluppati. Nel famoso museo di Parigi si riunirono il 22 febbraio 1987 i Ministri delle Finanze e i Governatori delle Banche Centrali dei membri del G7, per decidere una politica comune al fine di stabilizzare i tassi di cambio.
Al meeting non partecipò l'Italia in segno di protesta, in quanto il Governo allora presieduto da Bettino Craxi non era stato invitato alla riunione preliminare. Quindi i componenti della conferenza furono Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Germania, Francia e Canada.
Accordo del Louvre: la genesi
Per capire bene cosa fu deciso nel Convegno del Louvre bisogna fare un passo indietro, al 22 settembre 1985, quando i Paesi facenti parte del G5 si incontrarono all'Hotel Plaza a New York, sempre nella rappresentanza degli stessi Ministri e Governatori. Alla fine del meeting fu stipulato un accordo dove si pose fine al continuo apprezzamento del Dollaro USA soprattutto nei confronti dello Yen, che durava dall'inizio del decennio.
Il super Dollaro era fonte di preoccupazione per l'allora Presidente alla Casa Bianca Ronald Reagan, in quanto vedeva costretta l'Amministrazione statunitense a costanti interventi sul mercato valutario per contrastare la perdita di competitività delle aziende americane. Allo stesso tempo si prese atto che il ruolo dell'economia giapponese nel panorama internazionale era diventato di cruciale importanza.
L'azione concertata che ne seguì da quell'incontro ottenne ben presto il risultato sperato e il biglietto verde iniziò una lenta e costante discesa perdendo valore contro tutte le principali valute. Il problema fu che a un certo punto il deprezzamento era diventato eccessivo, in particolar modo in rapporto al Marco tedesco (oltre che allo Yen), creando degli squilibri importanti nella bilancia commerciale.
Fu allora che si decise per un nuovo grande meeting che stabilisse determinati criteri comportamentali da parte delle Nazioni che vi parteciparono. Il luogo dell'incontro, come accennato, fu il museo del Louvre a Parigi.
Accordo del Louvre: cosa si decise
Gli Stati firmatari misero in piedi un piano di intervento a livello fiscale e monetario senza precedenti, con lo scopo di riequilibrare i surplus e i deficit commerciali, rilanciando la domanda interna. In particolare: la Gran Bretagna avrebbe ridotto la tassazione tagliando la spesa pubblica; la Francia e il Canada avrebbero diminuito il passivo di bilancio attraverso dismissioni di assets e privatizzazioni; Germania e Giappone avrebbero tagliato i tassi d'interesse in modo da indebolire la propria moneta espandendo il credito e quindi i consumi; gli Stati Uniti avrebbero adottato una politica di spesa più austera per impedirne la crescita.
Inoltre fu fissato un intervallo di prezzo entro cui il Dollaro poteva oscillare nei confronti di Yen e Marco. Ogni sconfinamento comportava l'intervento immediato delle Banche centrali. Più precisamente, i valori di riferimento erano di USD/YEN 153,50 e USD/Marco 1,825, con una banda di fluttuazione di 2,5-5%. Tutte queste misure in simultanea finivano per fare il gioco del Dollaro, quantomeno per invertire la tendenza ribassista che durava ormai da due anni.
Accordo del Louvre: gli effetti
Il patto parigino sortì nell'immediato qualche effetto benefico, ma nell'autunno del 1987 avvennero due fatti importanti che mandarono all'aria i piani del G7. In primis ci fu l'intervento da parte della Bundesbank che, per frenare l'avanzata pericolosa dell'inflazione tedesca, si trovò costretta ad alzare i tassi d'interesse, rafforzando il Marco a scapito del Dollaro.
Nel contempo la Federal Reserve dovette fare l'incontrario, ossia ridurre il costo del denaro, poiché il 19 ottobre di quell'anno ci fu il crash di Wall Street che affondò la lama nel cuore dell'economia americana. Questo mix di fattori ebbe un effetto deleterio per la moneta statunitense, la quale si svalutò in maniera anche più netta rispetto al periodo pre-accordi di Louvre. Da quel momento non si trovò altra soluzione che lasciare i cambi liberi di fluttuare e dare modo al mercato di trovare un equilibrio nei prezzi.