I mercati finanziari stanno scontando scenari di guerra tra Russia e Ucraina? A giudicare da quello che sta succedendo negli ultimi giorni sembrerebbe proprio di sì. Il sell-off sulle azioni, i prezzi del petrolio che si avviano verso i 100 dollari al barile e la pressione che si mantiene viva sulle obbligazioni denotano che gli investitori hanno i nervi tesi. Tutto questo arriva quando sembrava che i mercati avessero ormai metabolizzato il rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve a marzo.
A questo punto un dubbio comincia a insinuarsi minaccioso: siamo sicuri che la Banca Centrale USA alla fine sarà così aggressiva come si crede in questo quadro generale? Perché il problema fondamentale riguarda le conseguenze che un'invasione russa potrebbe comportare sull'economia mondiale. In poche parole, se ci dovesse essere una recessione come si comporterà la Fed? E quindi quali reazioni sui mercati azionari?
La matassa è ben intricata e l'impressione è che nel breve difficilmente verrà sbrogliata con disinvoltura. Dagli Stati Uniti si pensa che il grande passo verso l'ignoto di Vladmir Putin sia ormai questione di giorni, nonostante il Premier russo continui a ribadire la sua intenzione di non invadere l'Ucraina. Ma l'Occidente purtroppo si sta preparando al peggio e sta organizzando le barricate, soprattutto sul fronte economico, dopo tutti i tentativi diplomatici di de-escalation andati a vuoto.
Wall Street: Morgan Stanley vede recessione
L'ipotesi più semplice sarebbe di un crollo dei mercati azionari in caso di guerra. Non ha dubbi su questo Morgan Stanley, che in una nota ai clienti scrive che uno scenario bellico significa che l'economia e gli utili delle aziende potrebbero finire in un vortice polare. In questa situazione, l'aumento dei prezzi dell'energia finirebbe per distruggere la domanda, facendo precipitare diverse economie in una vera e propria recessione. Nei mercati azionari si determinerebbe una svendita, con i titoli energetici i più a rischio in assoluto.
Lo stratega della banca d'affari, Michael Wilson, ha affermato che gli investitori adesso sposteranno l'attenzione dall'inflazione alla crescita economica, dove in caso di decelerazione la Fed potrebbe non aumentare i tassi per come i mercati si aspettano. Per tale ragione Morgan Stanley mantiene una propensione difensiva e non di crescita, puntando su segmenti di qualità, meno vulnerabili nella realizzabilità degli utili.
Tale scenario orwelliano delineato dagli analisti di Morgan Stanley viene condiviso solo in parte da Goldman Sachs, che ha abbassato il suo target sull'indice S&P 500 a 4.900 da 5.100 punti per fine anno, ma vede comunque ancora un rialzo di oltre il 10% dalle quotazioni attuali. La motivazione della visione meno ottimistica sulle azioni riguarda essenzialmente l'inasprimento della politica monetaria della Fed in un contesto di inflazione perdurante. Questo equivarrebbe a tassi d'interesse che saranno aumentati non più 5 volte come la banca stimava fino ad ora, ma 7 volte.
Tuttavia, Goldman vede gli utili per azione delle società che compongono il principale indice americano crescere dell'8% su base annua e questo sosterrà le quotazioni azionarie. Sullo sfondo ovviamente vi è la questione Ucraina che per la banca creerà notevole incertezza e volatilità sul mercato, alterando il quadro di fondo.
Gli esperti di Goldman Sachs illustrano anche 2 scenari estremi: uno che comprende una situazione in cui l'inflazione rimane alta e la Fed effettua più aumenti del costo del denaro rispetto alle previsioni. A quel punto l'S&P 500 potrebbe crollare fino a 3.900 punti o addirittura a 3.600 se l'economia USA piombasse in recessione; un altro dove la crescita dei prezzi rallenta più rapidamente e necessita di meno aumenti dei tassi. In quel caso l'indice potrebbe salire fino a 5.500 punti.