Wall Street ha respirato una boccata d'ossigeno nelle ultime settimane, dopo un inizio d'anno a dir poco disastroso come non si vedeva da tantissimo tempo. L'S&P 500 la scorsa ottava ha chiuso in rialzo dell'1,5%, il Dow Jones Industrial Average dell'1% e il NASDAQ-100 del 2,4%. Quest'ultimo guadagno è particolarmente significativo perché giunge in una settimana dove l'indice tecnologico ha perso il 3,7% nella giornata in cui le azioni di Meta Platforms sono affondate.
Ad aver arginato la furia ribassista degli investitori probabilmente il fatto che almeno il primo aumento dei tassi d'interesse di marzo della Federal Reserve sia stato scontato e la sensazione generale che si stia uscendo davvero dalla pandemia. A quest'ultimo riguardo la variante Omicron conferma la sua alta contagiosità, ma gli ospedali non sono intasati come prima e questo fa ben sperare che il virus diventi endemico e si possa convivere tranquillamente come lo si fa per le altre forme virulente meno aggressive.
Wall Street: crollo in vista?
Il mercato oggi si chiede se il peggio sia davvero alle spalle oppure se è necessario mantenere alta la guardia. In verità ci stanno almeno 4 segnali che fanno pensare che una certa prudenza sia d'obbligo e che quindi non siano escluse nuove ondate ribassiste nei prossimi giorni.
Il primo segnale deriva dal fatto che l'indice S&P 500 faccia fatica a oltrepassare la sua media mobile a 50 giorni, che indica uno spartiacque tra lo slancio rialzista di breve/medio termine e il trend ribassista che ha contrassegnato questo 2022. Secondo Katie Stockton di Fairlead Strategies, ancora vi è in corso un rimbalzo da ipervenduto che non va sfruttato al rialzo, ma come opportunità per vendere a prezzi più alti.
Il secondo segnale si evince dalla reazione di titoli come Apple e Google dopo l'eccellente trimestrale. Sì, Cupertino il giorno successivo alla pubblicazione dei dati ha realizzato una performance del 7%, ma da quel 28 gennaio a oggi la salita è stata appena del 2%, considerando i prezzi dell'ultima chiusura settimanale.
Lo stesso si può dire per Google, balzato martedì 1° febbraio del 7,5% a seguito del rilascio dei risultati, ma poi sceso da allora del 2,2%. Questo dimostrerebbe come in realtà manchi uno slancio rialzista vero e proprio che dia forza a tutto il comparto tecnologico. Lo stesso NASDAQ-100 è rimbalzato del 5,8% dal suo minimo del 27 gennaio, non un granché considerando quanto aveva perso fino a quel giorno.
Il terzo segnale riguarda i guadagni aziendali. È vero che finora l'80% delle rilevazioni sugli utili hanno battuto le aspettative di Wall Street, ma è altrettanto vero che lo scarto è il più piccolo dal 2020. Inoltre, fatto più allarmante, gli analisti stimano una crescita degli utili ancora più sostenuta nei prossimi anni, il che significa che le aspettative sono troppo elevate, aumentando in questo modo le probabilità di rimanere delusi se le cose non dovessero volgere per il meglio.
Infine vi è sempre la questione della Federal Reserve. Gli investitori hanno già prezzato l'aumento del costo del denaro a marzo, ma forse nessuno ha ancora considerato davvero che la Banca Centrale potrebbe piazzare una stretta di mezzo punto percentuale.
I dati positivi sull'occupazione USA rilasciati venerdì scorso sono un segnale da non sottovalutare ricollegandolo al comportamento della Fed, perché questo potrebbe spingere Jerome Powell a stringere ancora di più potendosi cullare di un mercato del lavoro che si avvia verso gli obiettivi prefissati dall'istituto monetario.