Nella settimana appena conclusa si è assistito ad un rimbalzo dei mercati azionari che, per ora, mettono alle spalle le paure di un ribasso più profondo. Il FTSE Mib e l'EuroStoxx 50 hanno segnato un rialzo di 3 punti percentuali, mentre gli USA sono addirittura riusciti a fare meglio, con l'S&P 500 che sfiora il +4%.
Gli investitori attendono il "rally di Natale", considerato quasi un diritto nella parte finale dell'anno. Ad attirare l'attenzione sono anche le riunioni delle Bance centrali che, al netto di possibili eventi esogeni avversi, portano al guinzaglio i mercati condizionandone gli andamenti.
I termometri delle paure degli operatori, VIX e F&G Index, segnano in chiusura di ottava valori più favorevoli ai rialzisti. Personalmente, non credo che Jerome Powell e la Federal Reserve o Christine Lagarde e la Banca Centrale Europea si vogliano prendere la responsabilità di agitare i mercati a fine anno con qualche dichiarazione avventata: le eventuali flessioni a mio avviso sono da mettere in calendario nel 2022.
Materie prime: il ruolo delle commodity nell'inflazione
La settimana appena conclusa ha visto una ripresa dell'indice generalista CRB delle merci, con un +2% circa chiudendo a 225 punti. Il petrolio Brent ha chiuso a circa 75 dollari al barile, l'oro è invece rimasto al palo mostrando indecisione e fermandosi a quasi 1.800 dollari l'oncia.
Gli investitori più accorti conoscono quanto sia importante monitorare l'andamento delle commodity, in quanto la loro salita rappresentano maggiori costi futuri che i consumatori pagheranno sui beni da acquistare.
Il dilemma sul fatto che l'aumento dell'indice dei prezzi al consumo sia transitorio è superato dai fatti concreti: le aziende assorbono parte degli incrementi subiti nel loro processo produttivo riducendo i margini di profitto, ma nel giro di qualche mese presenteranno il conto finale al cittadino nel momento in cui questo acquista i beni di consumo.
Mercato obbligazionario: settimana reattiva sui rendimenti
Il mercato obbligazionario si è mostrato reattivo sul lato dei rendimenti sul decennale italiano o USA. Gli yield del BTp sfiorano l'1%, mentre quello statunitense tocca quasi l'1,5%. Il problema sta diventando attuale e materiale per i risparmiatori. Negli Stati Uniti l'inflazione si aggira al 6%, mentre quella in Europa al 3%.
Si tratta di valori come non se ne vedevano da decenni (nel caso americano): come è possibile che prestare denaro renda poco più di un punto percentuale? Ovviamente siamo in presenza di un'aperta contraddizione nei termini a cui presto il mercato rimedierà in quanto risulta insostenibile nel lungo periodo. Come? Portando le autorità ad avviare una politica monetaria restrittiva alzando i tassi di interesse e calmierando l'indice dei prezzi al consumo.
Questa sarebbe l'azione più attesa e lineare, oltre ad essere quanto gli investitori si attendono nel 2022. Stiamo all'erta: mi attendo un aumento della volatilità.
Mercato valutario: l'EUR/USD rimane in attesa
Il cambio EUR/USD è rimasto inchiodato ai valori della scorsa settimana, intorno a 1,13. Il cambio dipinge un quadro di attesa che sbrogli la matassa per possibili variazioni future dei tassi. La stagionalità evidenzia che il dollaro americano tende a rafforzarsi entro la fine dell'anno o in caso di tensioni o crisi internazionali, essendo questo considerato un bene rifugio.
Sappiamo che i grafici stagionali sono una fotografia del passato e non un'anticipazione di quanto avverrà in futuro. Anche le crisi internazionali lasciano il tempo che trovano: dopo la presa di posizione di Biden, la Russia probabilmente non invaderà l’Ucraina e il biglietto verde vagherà senza direzione apparente a meno di chiare prese di posizione sul costo del denaro: se la Fed li modifica, quasi certamente la divisa si apprezzerà ancora, ma è materia per il prossimo anno.