Quello che si è appena concluso è stato un gennaio molto difficile per i mercati azionari americani. I 3 principali indici statunitensi hanno chiuso il mese con pesanti ribassi, recuperando solo negli ultimi giorni qualcosa, altrimenti il passivo sarebbe stato più rilevante. Era dal 2009 che non si vedeva un sell-off così violento come si è avuto questo inizio d'anno.
La situazione è naufragata quando i mercati hanno capito che la Federal Reserve sarebbe stata più aggressiva di quanto si aspettasse il mercato sul fronte tassi. Solo fino a ottobre 2021 gli analisti di Wall Street stimavano al massimo un rialzo del costo del denaro nel 2022. Oggi sono in parecchi a pronosticare che la Banca Centrale USA possa attuare 4 o 5 strette. L'ultimo della lista è Citigroup, che venerdì 28 gennaio si è detta convinta che alla fine l'istituto guidato da Jerome Powell interverrà 5 volte sul tasso ufficiale di sconto per cercare di frenare l'inflazione, ormai assodato che non sia più transitoria.
Un segnale preoccupante arriva dalla curva dei tassi sui titoli di Stato che tende ad appiattirsi, con i rendimenti a breve che si avvicinano a quelli a lungo termine. Questo significa che il mercato non si aspetta nulla di diverso da quanto ormai si è percepito, di conseguenza potrebbe continuare a manterenere un sentiment ribassista sulle Borse.
Wall Street: ecco cosa succederà a febbraio
Il mese di febbraio quindi come sarà, dobbiamo aspettarci ancora vendite? Se i mercati seguissero sempre un comportamento lineare ci sarebbero pochi dubbi al riguardo. In verità, subentrano sempre altri fattori che possono muovere i prezzi in maniera anche rilevante e inattesa. Fermo restando che l'influenza che ha la Banca Centrale americana anche nelle condizioni più difficili non ha eguali. Per tanti anni la Fed ha sorretto le quotazioni a Wall Street con il Quantitative Easing e con la politica di tassi a zero, nonostante l'economia a stelle e strisce si trovasse sull'orlo del baratro. Ne è la dimostrazione l'imperioso rally dopo la Grande Crisi del 2008 e la ripresa verso i massimi storici dopo lo shock pandemico del 2020.
Adesso sono 4 i fattori in particolare che possono incidere sull'andamento di Wall Street questo mese. Il primo riguarda l'occupazione americana. Venerdì 4 febbraio il Dipartimento del Lavoro USA rilascerà i dati di gennaio e le attese sono di un tasso di disoccupazione del 3,9% e della creazione di 153.000 nuovi posti di lavoro.
Il dato è cruciale, perché uno dei freni al restringimento monetario da parte della Fed è proprio il mancato raggiungimento dell'obiettivo della piena occupazione, fissato al 3,5%. La pandemia ha sterminato milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti, in gran parte recuperati con la ripresa economica. Oggi si è a un passo dal target, però l'istituto centrale continua a rimanere in allerta, anche perché la variante Omicron del Covid-19 sta facendo parecchi danni e potrebbe inferire un colpo letale all'economia americana.
Il secondo fattore allude alla stagione degli utili aziendali. Con le trimestrali di gennaio si è entrati pienamente nel vivo, ma a febbraio sono chiamati al banco di prova oltre 110 grandi società che rappresentano l'indice S&P 500. Tra questi big sono attesi in particolar modo Google, Meta Platforms, Amazon, Exxon Mobile e General Motors.
Finora i risultati dell'ultimo trimestre hanno visto luci e ombre, anche perché è obiettivamente difficile ripetere le performance dell'anno scorso quando si era in pieno rimbalzo post-pandemico. Tuttavia, quanto uscirà dal rilascio dei dati sarà una cartina di tornasole per capire lo stato di salute delle aziende americane e quanto qualsiasi altro evento avverso possa intaccare l'equilibrio economico e finanziario.
Un terzo fattore che può esercitare il suo peso nella Borsa americana è il fatto che il mercato abbia già scontato in buona parte l'effetto negativo della politica aggressiva della Fed. Non è un caso che le oscillazioni più violente, con un'impennata della volatilità, si sono viste a ridosso del 26 gennaio, quando si è riunita la Banca Centrale per la decisione sui tassi.
Successivamente si è registrato un graduale allentamento della pressione sui prezzi delle azioni. Questo comunque potrebbe anche essere un effetto passeggero, perché comunque il mercato ancora rimane incerto da qui al prossimo meeting di marzo, dove il FOMC sarà chiamato a decidere se aumentare il costo del denaro e soprattutto di quanto, oltre a dare maggiori indicazioni per il resto dell'anno.
Un quarto fattore concerne la catena di approvvigionamento e il costo delle materie prime, considerati i principali responsabili della lievitazione dei prezzi. Un allentamento della carenza delle forniture è attesa dal mercato, anche se non in maniera rilevante. Il punto è quanto effettivamente sarà la riduzione, perché se dovesse dare segnali interessanti che indicano come il mercato della domanda e dell'offerta stia tornando alla normalità, allora tutto andrebbe riconsiderato sul fronte inflazione e tassi, con conseguenze positive per il mercato azionario.