Gli investitori che quest'anno hanno fatto affidamento sulla strategia 60/40 per proteggere almeno in parte il proprio portafoglio d'investimento sono rimasti profondamente delusi. Sì perché in un 2022 così turbolento le aspettative erano che la componente obbligazionaria della strategia riuscisse ad attutire le perdite derivanti dal sell-off che si è scatenato sui mercati azionari. Invece, non solo le obbligazioni non hanno compensato i cali, ma anzi hanno contribuito ad accelerarli.
In sostanza, i titoli a reddito fisso si sono mossi nella stessa direzione delle azioni, ovvero in discesa. La motivazione è da ricercare essenzialmente nel rialzo dei tassi da parte delle Banche centrali per combattere l'inflazione più alta degli ultimi 40 anni. L'aumento dei rendimenti dei titoli di nuova emissione che ne è conseguito ha generato un calo dei prezzi per le obbligazioni quotate, poiché gli investitori hanno venduto bond che a parità di scadenza rendevano di meno. Inoltre, l'inflazione elevata ha abbassato i ritorni in termini reali, rendendo il reddito fisso meno conveniente rispetto a scenari di inflazione bassa.
Una situazione particolare si è verificata in Gran Bretagna, quando nel mese di settembre l'ex Cancelliere dello Scacchiere Kwasi Kwarteng ha proposto una serie di tagli fiscali che hanno allarmato gli investitori sulle finanze dello Stato. La reazione del mercato è stata violenta, con i fondi pensione che hanno cominciato a vendere massicciamente i Gilt in portafoglio, affossando le quotazioni e facendo salire i rendimenti a livelli che non si vedevano dalla grande crisi del 2008 ( Lehman Brothers: il più grande fallimento bancario della storia). Solo il licenziamento di Kwarteg e le successive dimissioni dell'allora Premier Liz Truss hanno riportato il sereno nel mercato, con la promessa del successore Rishi Sunak di un dietrofront totale sulla manovra fiscale avanzata dal suo predecessore.
Obbligazioni: cosa aspettarsi per il 2023
Se sulla ripresa del mercato azionario vi sono molte incertezze, la maggioranza degli analisti scommette che le obbligazioni possano risalire in virtù di un rallentamento della stretta sui tassi da parte delle Banche centrali e del calo dell'inflazione. In realtà, i dubbi non sono stati dissipati. I Governatori degli istituti monetari, da Jerome Powell a Christine Lagarde, hanno usato toni da falco nell'ultima riunione dell'anno, temendo che l'inflazione possa rimanere alta almeno per tutto il 2023.
Tra l'altro, la mossa a sorpresa della Bank of Japan di consentire un'oscillazione dei rendimenti a 10 anni più ampia di 25 punti base rispetto al livello di ± 0,25% precedente, potrà segnare la svolta tanto attesa nella sua politica monetaria e far decadere l'ultima Banca centrale rimasta accomodante, se si esclude quella cinese.
Un enorme problema potrebbe investire l'Europa in quanto, se i tassi saranno inaspriti come ha fatto capire Lagarde, Paesi con un alto indebitamento come l'Italia rischierebbero di soffrire oltremodo, con i titoli di Stato che potrebbero essere oggetto di un attacco degli speculatori al punto da far crollare i prezzi e salire gli spread.
In questo caso, emergono alcune domande, tipo: cosa farà la BCE in merito all'inasprimento monetario? Verrà attivato e in che misura lo scudo antispread sbandierato più volte quest'anno? E come si concilierà tutto ciò con un'inflazione che rimane alta e rischia di insediarsi in maniera esiziale nel tessuto economico e produttivo di ogni Paese? Le obbligazioni private corrono il pericolo di scontare invece una recessione in arrivo, con le società che potrebbero andare in difficoltà e le agenzie di rating che potrebbero abbassare il rating sul debito, innescando un'altra ondata di vendite.