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Il vertice dell'OPEC+ si trasforma in una guerra armata tre Russia e Arabia Saudita;
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L'Arabia Saudita risponde al no di Mosca con misure inaspettate;
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Il prezzo del petrolio è ormai in caduta libera.
Lunedì nero per i mercati finaziari, con tutte le Borse che fanno segnare ingenti vendita in scia ai timori di recessione che aleggiano sempre più con il diffondersi dei contagiati da coronavirus. Il panico odierno è un'onda lunga del crollo fatto registrare nella notte dalle quotazioni del petrolio. Il petrolio WTI è arrivato a segnare i 27,28 dollari il barile, il Brent 31,44 dollari, con quotazioni in ribasso anche del 30% sui valori di chiusura di venerdì.
Anche le società del comparto oil quotate a Piazza Affari non si sono salvate. In un clima particolarmente difficile in Borsa Italiana, l'Italia è il primo Paese fuori dalla Cina per numero di contagi e morti, ENI fa segnare cali di quasi 20 punti percentuali in area 8,24 euro. Profondo rosso anche per Tenaris (-20,44% a 5,84 euro per azione, valori che non si vedevano dal giugno 2005) e Saipem (-23,76% a 2,196 euro, nuovi minimi storici toccati in mattinata a 2,058 euro per azione). Da segnalare in controtendenza Saras, con i titoli della società della famiglia Moratti che dopo aver toccato dopo l'apertura i minimi da fine 2014 hanno invertito rotta e ora passano di mano a 0,874 euro (+0,11% sul close di venerdì).
OPEC: quel taglio non attuato e i perchè russi e la reazione dell'Arabia Saudita
Distogliendo per un attimo l'attenzione dal coronavirus, anche se il diffondersi del virus ha una sua centralità anche in questa vicenda, torniamo a focalizzarci sul petrolio e sulla riuonione dell'OPEC della scorsa settimana. Che la situazione sarebbe stata complicata lo sapevano tutti, ma che si sarebbe arrivati ad un muro contro muro tra i tradizionali protagonisti del cartello del Medio Oriente e quelli esterni nessuno l'avrebbe immaginato. Venerdì è entrato in scena uno scontro frontale tra Arabia Saudita, che si era spinta al punto di chiedere un taglio dell’offerta del greggio di 1,5 milioni di barili al giorno da aggiungere a quella attuale, e la resistenza della Russia che non voleva piegarsi all’evidenza del mercato. L’epilogo è stato disastroso: i russi sono rimasti fermi sulle proprie posizioni e hanno deciso, irresponsabilmente, un no way che non lascia spazio a trattativa ulteriore.
Le ragioni sono tutte di natura politica, o meglio geopolitica. Le preoccupazioni di Putin sono che, tagliando la produzione, si spianerebbe la strada alle compagnie americane che produrrebbero ed esportererebbero di più relegando sempre di più ai margini il cartello allargato. Da quando nel 2016 l’OPEC+ ha deciso delle sforbiciate importanti all’offerta, gli USA sono diventati il principale esportatore di petrolio con 13 milioni di barili al giorno distribuiti dalle petroliere in ogni parte del mondo. Sullo sfondo riecheggiano minacciose le dichiarazioni del ministro russo Alexandr Novak quando ha lasciato il vertice di Vienna nella giornata di venerdì. Secondo Novak la Russia mai avrebbe potuto accettare i tagli extra imposti dall’OPEC e a partire dal mese di aprile cadranno tutti i limiti alla produzione per Opec e Opec+.
Se pochi si aspettavano l’ostracismo così netto di Mosca, nessuno mai avrebbe pensato ad una reazione shock da parte saudita. Alla chiusura della riunione dell'OPEC il leader dell'Arabia Saudita annuncia il taglio del prezzo del proprio petrolio e l' aumento della produzione di 10 milioni di barili al giorno a partire dal mese di aprile. Una misura shock che non potrà non creare altre disgregazioni all’interno del cartello, soprattutto con il nemico storico, l’Iran. Teheran, già in ginocchio per l'epidemia di coronavirus, ha sempre criticato l’atteggiamento da parte saudita verso la Russia, considerato troppo accomodante. Oggi i nodi vengono al pettine e a pagarne la conseguenze sarà tutta la politica medio-orientale, condizionata giocoforza dalle impertinenze che arrivano da Mosca.
Petrolio: ora cosa attendersi dalle quotazioni?
E’ chiaro che quello che è successo la settimana scorsa abbia gettato nel panico il mercato dell’oro nero con i prezzi che sono crollati del 30% e abbia completamente stravolto tutto il quadro previsionale sull’andamento delle quotazioni da qui ai prossimi mesi. Secondo Exxon il petrolio è ormai in caduta libera e sarà destinato a raggiungere quota 20 dollari al barile nel corso dell’anno. Quindi qualsiasi supporto tecnico in questo momento lascerebbe il tempo che trova. E’ affondata in Borsa domenica anche Saudi Aramco. Per la prima volta dalla sua quotazione, il gigante petrolifero saudita ha visto le sue azioni scendere sotto il prezzo dell’IPO a 30 riyal (contro 32 del prezzo di collocamento).
Cosa può riservare il futuro è molto incerto e l’ottimismo in questo momento non è certamente di casa, soprattutto per il risvolto psicologico che avrà la cosa, come sostiene il vice presidente di Wood Mackenzie, Ann-Louise Hittle, secondo cui in questo momento non è facile per nessuno aumentare l’offerta con una domanda così debole.
Le tanto temute compagnie americane dello shale oil, in grave crisi di liquidità, avranno bisogno dai 6 ai 9 mesi per razionalizzare i costi e ridurre l’offerta. Lo squilibrio quindi che si verrà a creare sul mercato nei prossimi mesi non potrà che spingere i prezzi verso il basso e deprimere ulteriormente le quotazioni delle compagnie petrolifere, a meno di altri scenari, per il momento poco preventivabili, che vedranno sul tavolo Mosca e Riad per discutere con buon senso su come affrontare la situazione. La dichiarazione di guerra che si è consumata in queste ore arriva di certo nel momento peggiore dove i produttori di petrolio sono costretti, per via dei disastri creati dal coronavirus, a vendere a prezzi stracciati pur di riuscire a piazzare i carichi e questo creerebbe una spirale ribassista alquanto pericolosa.