Il petrolio è stazionario oggi sul mercato delle materie prime, con il Brent e il WTI che quotano rispettivamente 121,6 e 114,5 dollari al barile, in attesa del
vertice UE e Nato per stabilire un nuovo pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia. Oggi i leader politici si incontrano a Bruxelles e vi sarà la presenza per la prima volta nel capoluogo belga del Presidente degli Stati Uniti,
Joe Biden.
Tra i temi più scottanti sul tavolo proprio la questione del petrolio, con la Casa Bianca che ha già messo l'embargo e sta esercitando pressioni sugli alleati affinché seguano la stessa strada. L'Europa però per il momento esclude una mossa così estrema, in quanto la sua posizione è completamente diversa rispetto a quella americana, molto meno dipendente dalle forniture russe.
Peraltro il Vecchio Continente adesso ha da risolvere un'altra questione bollente, che è quella della mossa di Putin di voler imporre il pagamento in rubli del gas naturale fornito all'Occidente. Questo potrebbe già creare enormi scompensi nell'approvvigionamento se entro una settimana non si trova una soluzione. Un eventuale stop al greggio russo significherebbe un black-out energetico che l'Europa non potrebbe permettersi.
Petrolio: gli hedge fund puntano 250 dollari
Le tensioni stanno inevitabilmente sfociando nel rincaro dei prezzi energetici, con prospettive per il futuro non troppo edificanti. Alcuni dei più grandi hedge fund attivi nel settore sono convinti che il petrolio supererà i 200 dollari al barile in questo 2022, via via che la Russia verrà sempre più boicottata dalle sanzioni internazionali e contestualmente per la mancanza di vere alternative nel breve tempo.
Pierre Andurand, gestore di fondi specializzati nel comparto petrolifero, sostiene che la normalità non avverrà tra pochi mesi e che l'Europa sta perdendo per sempre le forniture dalla Russia, con la conseguenza che l'oro nero potrebbe anche raggiungere i 250 dollari al barile quest'anno.
Affermazioni supportate da quelle di Doug King, Chief del Merchant Commodity Fund di RCMA, che vede i prezzi del greggio oscillare tra i 200 e i 250 dollari al barile entro fine anno, definendo questo come un grosso shock dell'offerta non transitorio. King ha aggiunto che l'apporto dello scisto americano arriverebbe non nel breve e nel frattempo i prezzi dei futures aumenterebbero in maniera significativa.
Al riguardo, secondo Daniel House, commerciante di greggio senior presso Socar, la divisione commerciale con sede a Houston della compagnia petrolifera nazionale dell'Azerbaigian, l'industria petrolifera statunitense ha bisogno di un tempo di 12-18 mesi per aumentare la produzione. Senza contare il fatto che i progetti di scisto sono costosi e i dirigenti delle grandi aziende americane sono diventati più reticenti a investire nuovi capitali.
A giudizio di Ben Luckock, co-responsabile del commercio di petrolio di Trafigura, il problema più grosso sarà vissuto da parte dei Paesi più poveri che non possono permettersi di effettuare alcune agevolazioni fiscali, tipo la riduzione delle tasse sul carburante. L'esperto vede il prezzo del Brent raggiungere 150 dollari al barile entro questa estate.