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I Paesi esportatori di petrolio oggi potrebbero aumentare nuovamente l'offerta di petrolio portando il taglio concertato nei mesi scorsi a 7,7 milioni di barili giornalieri;
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Morgan Stanley vede una disgregazione del settore petrolifero e scarica British Petroleum;
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Tra i rischi dell'investimento energetico il peggioramento della situazione legata ai contagi
L'attesa è rovente. Tra poche ore ci sarà l'importantissima riunione dell'OPEC + che sancirà se la produzione di petrolio continuerà sulla stessa falsariga degli ultimi mesi oppure se i pesi massimi del cartello effettueranno un cambiamento di rotta.
Negli ultimi giorni è trapelata qualche indiscrezione: con il ripristino della domanda e i prezzi del greggio raddoppiati negli ultimi due mesi, l'alleanza guidata da Russia e Arabia Saudita è pronta a riaprire i rubinetti. Si parla di portare il taglio dell'offerta da 9,7 a 7,7 milioni di barili giornalieri. Ciò nonostante Riad e Mosca sembra che siano intenzionate a imporre ai Paesi come Iraq, Nigeria, Angola e Kazakistan di compensare il mancato taglio che avrebbero dovuto effettuare a maggio.
Il principe saudita Abdulaziz Bin Salman ha paragonato l'OPEC come a una sorta di Banca Centrale del petrolio, quindi pronta a ritoccare nuovamente l'output. Questo però secondo alcuni potrebbe comportare dei rischi in questo momento, in cui la pandemia non è stata ancora domata. Infatti i prezzi del greggio potrebbero precipitare nuovamente nel caso in cui dovesse arrivare una seconda ondata pandemica. Secondo l'Agenzia Internazionale per l'Energia il sentiment del mercato rimane ancora depresso, in quanto le infezioni in continua crescita negli Stati Uniti e la riemersione del Covid in Asia gettano delle ombre inquietanti sulle prospettive dei prossimi mesi.
Sul fronte russo il Ministero dell'Energia non ha ancora dato delle indicazioni precise, sebbene il Ministro in persona, Alexander Novak, aveva nei giorni scorsi espresso la convenienza per l'OPEC ad attenersi a quanto pattuito. Nel frattempo però sembra che le principali compagnie di Mosca si stiano preparando per rimettere in moto le petroliere.
Morgan Stanley: no a British Petroleum, sì a Equinor, Neste e OMV
Questa situazione di incertezza non trasmette serenità all'investitore che si trova di fronte alla scelta se inserire o meno titoli del settore petrolifero nel portafoglio d'investimento.
Secondo un report di Morgan Stanley pubblicato nei giorni scorsi tutto il comparto legato all'oro nero subirà una sorta di disgregazione. La ragione fondamentale starebbe nei tagli dei dividendi. Questi ultimi infatti se da un lato servono per compensare la riduzione diffusa del margine di raffinazione dovuto all'effetto Covid, dall'altro però vanno a impattare negativamente sulla redditività dell'investimento azionario.
Ad esempio stando alle previsioni British Petroleum taglierà il 50% della cedola, che avrà così un rendimento del 5,5%. Ora lo scenario di crescita non è molto esaltante e la cosa si protrarrà, secondo gli esperti, per almeno 2 anni. Questo significa che, con un costo del capitale del 7%, un rendimento del 5,5% comporta che gli azionisti non otterranno un grande vantaggio economico dal proprio investimento. Ragion per cui le azioni British Petroleum magari dovrebbero cedere il posto ad altri titoli dello stesso settore, nelle scelte operative degli investitori.
In tal senso un titolo su cui puntare sarebbe Equinor, in quanto risulta meno esposto ai margini di raffinazione e i dividendi sono già stati azzerati. Di conseguenza un aumento del prezzo del petrolio nei prossimi anni renderebbe l'investimento azionario molto attraente in termini di crescita degli stessi dividendi. Le cedole azionarie infatti, partendo da una base molto bassa, trarrebbero beneficio da un'accresciuta redditività aziendale.
Insieme o in alternativa a Equinor, gli strategist di Morgan Stanley individuano altri due titoli del settore petrolifero. Uno è Neste, compagnia finlandese di raffinazione, trasporto e vendita di petrolio e biodiesel con sede a Espoo e quotata nella Borsa di Helsinky. Secondo gli analisti la società del Nord Europa ha una solida componente di crescita strutturale che non è stata pienamente sfruttata e che quindi presenta delle ottime potenzialità. Un altro è OMV, che è il più grande produttore e raffinatore di petrolio austriaco con importanti attività nei Paesi dell'Europa Centrale. In questo caso i punti di forza dell'azienda sarebbero gli elevati cash flow e gli importanti dividendi.
Morgan Stanley: i rischi dell'investimento nel settore petrolifero
Gli analisti della casa americana mettono in guardia comunque da una possibile escalation della pandemia che condizionerebbe l'andamento dei prezzi del petrolio, rendendo aleatorie tutte le previsioni sul greggio che sono state fatte dalle aziende coinvolte.
Gli esperti fanno notare che, nonostante le quotazioni siano tornate allo stesso livello di prima dello shock, con il Brent a 43 dollari al barile e il WTI a 40 dollari, le performance aziendali non hanno seguito lo stesso percorso. I margini di raffinazione sono passati da 12 miliardi di dollari dello scorso anno a 4,2 miliardi di quest'anno; ciò significa maggiori oneri da sostenere.
Questo fa pensare che la correlazione tra prezzo del greggio e performance aziendale in questo frangente non sia così forte, in una situazione in cui l'incertezza domina il mercato. In definitiva per gli analisti di Morgan Stanley è importante aspettare che la situazione si stabilizzi per avere davanti un quadro più nitido eliminando qualsiasi ombra sul futuro.