L'oro ha sfondato la soglia psicologica di 1.850 dollari l'oncia e dà un chiaro segnale rialzista nel mercato delle materie prime dopo un lungo movimento laterale. La scorsa settimana le quotazioni sono salite del 2,9%, chiudendo a 1.868,50 dollari, il livello più alto degli ultimi 5 mesi. Il metallo giallo si trova ancora a un livello di prezzo inferiore del 10% rispetto all'agosto del 2020, quando raggiunse il record storico a 2.050 dollari l'oncia.
Adesso la rottura dell'intervallo di prezzi che si è determinato da un pò di tempo potrebbe segnare un percorso ascendente ben definito e nei prossimi mesi è possibile che vi sia la rivisitazione dei top di sempre. I rialzi della materia prima si sono riflessi anche sulle azioni delle società che si occupano dell'estrazione del metallo prezioso. Barrick Gold ha chiuso la candela settimanale con un guadagno del 5,9%, mentre Newmont è cresciuta del 4,2%.
Oro: ecco perché sono salite le quotazioni
Ci sono pochi dubbi su cosa abbia spinto nuovamente gli investitori verso il metallo giallo. L'inflazione statunitense del mese di ottobre è salita al 6,2%, al ritmo più alto dal 1990, trasmettendo la sensazione agli operatori che stavolta sarà molto meno temporanea di quanto si è finora creduto. Sì perché se in tutto questo periodo di alta inflazione le quotazioni dell'oro non sono decollate evidentemente ciò è da imputare alla scarsa convinzione che la salita dei prezzi potesse durare a lungo. Anche e soprattutto in considerazione delle ripetute affermazioni rassicuranti in tal senso da parte della Federal Reserve.
Adesso è risultato abbastanza chiaro che la Banca Centrale statunitense non potrà tollerare ancora a lungo un carovita così alto e quindi dovrà muoversi nella direzione del rialzo dei tassi d'interesse. Secondo diversi analisti una stretta potrà arrivare già nella seconda parte del 2022 e non nel 2023 come ribadito dal Governatore Jerome Powell e da altri esponenti del FOMC.
L'inflazione alta determina una perdita di valore intrinseco di altre attività ma non dell'oro, che viene reso più appetibile dal calo dei rendimenti reali. Solitamente ciò che mette in fuga gli investitori dal prezioso è una crescita dei rendimenti obbligazionari superiore rispetto all'inflazione, perché aumenta il costo opportunità di detenere oro. In questo caso, i rendimenti sono aumentati fino all'1,58% la scorsa settimana, ma sono diminuiti in termini reali perché l'inflazione è cresciuta di più.
Qui subentra la tradizionale funzione di bene rifugio del prezioso. Negli ultimi tempi per la verità questa è stata messa fortemente in discussione con la crescita delle criptovalute. Molti sostenevano infatti che Bitcoin e simili avessero sostituito l'oro nel ruolo di porto sicuro nelle situazioni di incertezza dei mercati e come forma di copertura contro l'inflazione. Alla luce di quanto si sta vedendo adesso, probabilmente erano altre le ragioni per cui gli investitori temporeggiavano nell'acquisto della materia prima.
Oro: le opinioni degli analisti
Dove potrebbero arrivare ora le quotazioni dell'oro una volta superata la soglia di 1.850 dollari? Secondo gli analisti di Citigroup è possibile che questo fatto attirerà denaro da parte di nuovi investitori, per cui il prezzo potrebbe raggiungere presto il livello di 1.900 dollari. UBS ha aumentato il target price da 1.700 a 1.800 dollari entro la fine di marzo.
Alcuni temono che il rafforzamento del Dollaro USA possa rallentare la corsa dell'oro, soprattutto se i rendimenti obbligazionari dovessero fornire ulteriore vitamina al biglietto verde. Ed Meir, consulente specializzato sui metalli presso l'agenzia di brokeraggio ED&F Man Capital Markets, invece pensa che il driver per l'oro non sia la valuta americana ma l'inflazione, per cui gli investitori sembrano molto preoccupati.
Chris Gaffney, Presidente dei mercati mondiali di TIAA Bank, consiglia ai clienti di aumentare l'esposizione sul metallo giallo verso l'estremità superiore dell'intervallo compreso tra il 5% e il 10% di portafoglio.