Il petrolio è crollato del 3% ieri alla chiusura delle contrattazioni nel mercato dei futures a New York, scendendo sotto la media mobile a 50 osservazioni. Oggi le quotazioni sono ancora in ribasso, con il Brent che perde lo 0,85% a 79,60 dollari al barile e il WTI in calo dell'1,13% a 79,67 dollari.
I valori si distaccano notevolmente dai massimi raggiunti nelle ultime settimane a seguito dell'incertezza del Paesi esportatori di oro nero sull'aumento dell'offerta sul mercato e della crisi energetica che ha fatto lievitare i prezzi. Il greggio del Mare del Nord aveva toccato il livello di 86,70 dollari il mese scorso, come non si vedeva dal 2018, mentre il petrolio del Texas era arrivato a ottobre a 85,40 dollari.
Petrolio: USA e Cina concordano per il rilascio delle riserve
Il ritiro delle quotazioni ora è stato determinato dalle aspettative degli investitori che USA e Cina rilascino le forniture dalle riserve strategiche. Su questo hanno discusso Joe Biden e Xi Jinping nel loro incontro virtuale avvenuto in questi giorni, sebbene non abbiano preso una decisione specifica. Entrambe le parti però hanno concordato il prosieguo delle discussioni sullo stato del mercato petrolifero e per fornire una risposta coordinata al fine di evitare il rincaro eccessivo del greggio.
Nella giornata di ieri Pechino ha già iniziato a rilasciare le prime scorte strategiche, come riferito dal portavoce della National Food and Strategic Reserves Administration. Non è dato di sapere se questo sia avvenuto per rispondere all'esortazione di Washington oppure se già stato programmato in precedenza, fatto sta che qualcosa inizia a muoversi. Il Dragone quest'anno ha già utilizzato le scorte nazionali per tentare una riduzione dei prezzi del petrolio, come ad esempio ha fatto a settembre quando sono state scaricate dalle riserve 7,5 milioni di barili.
La Casa Bianca sta esercitando pressioni sulle Nazioni asiatiche tra cui spiccano, oltre la Cina, il Giappone e la Corea del Sud. Questo per cercare di ovviare alla respinta da parte dell'OPEC+ alle richieste di pompare una quantità maggiore di petrolio. Tuttavia, è molto difficile che il Giappone possa partecipare all'invito di Joe Biden a rilasciare petrolio dalle sue riserve, poiché vi è una legge che gli permette di fare una cosa del genere solo nei casi di interruzione delle forniture.
Petrolio: le prospettive future sui prezzi
Gli analisti mantengono nel complesso una certa cautela nelle stime del prezzo del petrolio per i prossimi mesi. Secondo Ed Moya, analista senior di Oanda Corp., il mercato sta monitorando l'evolversi dei colloqui tra la USA e Cina sugli sforzi coordinati di cui si è parlato, prima di piazzare le proprie puntate rialziste.
Louise Dickson, analista senior dei mercati petroliferi presso Rystad Energy, percepisce l'umore ribassista del mercato dopo le affermazioni dell'EIA, che questa settimana ha sottolineato come la crescita della domanda rimanga robusta ma l'offerta recupera terreno. Anche John Kilduff, socio fondatore di Again Capital, si unisce al coro dei ribassisti, ribadendo come ancora una volta la Casa Bianca metta pressione sui prezzi, facendo passi avanti per il rilascio delle riserve.
Nei giorni scorsi però è arrivata una voce contrarian da parte di Otabet Karimov, Vicepresidente per il commercio e la logistica dell'azienda petrolifera russa Rosneft PJSC. Karimov prevede che i prezzi del greggio potrebbero salire fino a 120 dollari al barile entro la prima parte del 2022. Il motivo? I Paesi dell'OPEC+ non potranno aumentare la produzione nella misura necessaria per soddisfare la domanda, creando in questo modo un gravissimo deficit di risorse energetiche.