La crisi energetica in Cina si inasprisce ogni giorno di più, con i prezzi delle materie prime ormai giunti a livelli impensabili fino a poco tempo fa. Il Governo di Pechino sta riattivando a pieno regime le centrali di carbone, contravvenendo ai principi inossidabili portati avanti finora sul cambiamento climatico, ma le quotazioni del combustibile fossile hanno superato i 300 dollari la tonnellata nel mercato dei future in Cina.
La situazione è di piena emergenza, con le fabbriche che rischiano uno stop produttivo ancora più violento rispetto a quello sostenuto finora. Quanto tutto questo stia incidendo sull'economia cinese lo si è visto dai dati sul PIL rilasciati ieri, dove vi è stato un rallentamento notevole, al di là delle previsioni degli osservatori di mercato. La crescita è stata infatti appena del 4,9% su base annua nel mese di settembre, ben al di sotto del 7,9% di agosto e del 5,2% stimato dal consensus.
Carbone: rally continuerà con la stagione invernale?
La cosa più preoccupante è che le prospettive non sono delle migliori con l'arrivo della stagione invernale, anche e soprattutto perché sulla Cina orientale si è abbattuto già un clima freddo che ha anticipato l'inverno in alcune aree. Di conseguenza la domanda di carbone per il riscaldamento si è impennata, scontrandosi con le scorte basse e con l'elettricità che si è ridotta notevolmente per alcune industrie. Secondo Dennis Ip, analista di Daiwa Capital Markets, il rally del prezzo del carbone continuerà inevitabilmente almeno fino alla fine del quarto trimestre del 2021.
Non basta quindi l'esortazione da parte delle Autorità governative ai gruppi minerari cinesi di sostenere le forniture per il riscaldamento invernale. Vi sono le industrie più energivore affamate di elettricità che alle condizionali attuali di mercato non riescono a trovare corrispondenza nell'offerta.
Il Governo ha concesso maggiore flessibilità recentemente ai produttori di trasferire il costo dell'energia ai consumatori, soprattutto a quelle imprese che ne fanno un'eccessiva richiesta. Ad esempio nella provincia di Guangxi, qualcuno ha già fatto sapere che aumenterà i prezzi dell'elettricità fino al 50% a chi consuma troppa energia.
Cina: la svolta verde è già finita?
Sembra ormai chiaro che in questo stato di cose la transizione energetica tanto sbandierata da Pechino debba essere quantomeno rinviata. Finora il Dragone ha dato priorità al gas come combustibile e fonte energetica, in quanto meno inquinante rispetto al carbone. Ma tutto ciò si è schiantato di fronte a una realtà nuda e cruda: per superare la crisi vi è ancora un enorme bisogno dell'apporto di tutti i combustibili, più o meno dannosi per l'ambiente.
Xi Jinping a settembre aveva dichiarato che la Cina non avrebbe costruito altre centrali di carbone all'estero, ma intanto a ben 72 miniere di carbone ha chiesto di produrre oltre 100 milioni di tonnellate in più del fossile, corrispondenti a un incremento del 10% del totale.
Circa il 50% dell'elettricità in Cina è prodotta dal carbone, tracciando ancora una volta la forte dipendenza del Paese dalla materia prima. Questo significa che il mining a Pechino sprigiona 10 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno. Continuando di questo passo, la neutralità climatica posta come obiettivo entro il 2060 sarà poco più che una chimera.