La situazione economica della Cina comincia a scricchiolare dopo il rallentamento economico più forte del previsto registratosi nel terzo trimestre di quest'anno. Il Dragone cresce solo del 4,9% rispetto al 2020, contro stime del consensus che davano il PIL al 5,2%.
Dopo essere stata l'unico Paese al mondo a crescere nell'anno pandemico, l'ex Impero Celeste ora deve fare i conti con diverse realtà che hanno raffreddato lo sviluppo della Nazione e trasmesso maggiori incertezze politiche. A partire dalle regole stringenti sul mercato immobiliare che hanno devastato un settore nell'apice della prosperità, per finire con una crisi energetica che in questo frangente storico non conosce soste.
Cina: 3 sfide da affrontare nei prossimi mesi
Adesso le prospettive economiche della Cina probabilmente verranno ridimensionate, così come certi piani di largo respiro che il Governo contava di mettere in pratica nei prossimi anni. Alcuni analisti hanno rivisto la crescita della seconda economia mondiale nel quarto trimestre.
Nomura Holdings ha ridotto le stime dal 4,4% al 3%, mentre la banca d'investimento ING Bank è passata da una previsione del 4,5% al 4,3%. Il vero banco di prova sarà però il 2022 e a tal proposito sono almeno 3 le sfide che Pechino dovrà affrontare per mantenere un ritmo di crescita elevato come in passato, vediamole.
Inflazione e politica monetaria
La PBOC ha affermato che l'inflazione è sotto controllo ma che allo stesso tempo non vi sarà in futuro una politica monetaria eccessivamente accomodante. In effetti i prezzi in Cina stanno crescendo a un ritmo elevato ma lontano dai livelli allarmanti che si vedono negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Questo potrebbe spingere il Governatore Yi Yang a ridurre il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche, alla luce soprattutto dei dati sulla crescita economica che segnalano un arresto preoccupante.
Inoltre ci sarà da tenere sotto controllo la questione Covid-19, che potrebbero tornare a riaffacciarsi in maniera minacciosa con l'arrivo di un'altra variante. In tutto questo si deve inserire il grande obiettivo di "prosperità comune" lanciato dalle Autorità di Governo che si sposa con le politiche repressive che hanno destabilizzato interi settori dell'economia, nonché i mercati finanziari.
Dalle società immobiliari, alle compagnie internet, ai servizi di tutoraggio, tutti hanno pagato dazio dalla scure che il Regolatore ha calato sul cuore pulsante dell'economia cinese. E il sospetto è che nel lungo termine difficilmente ci potrà essere una vera inversione di rotta.
La crisi di Evergrande
Forse in questo momento la vicenda del colosso immobiliare cinese rappresenta il principale motivo di preoccupazione del Governo, stretto tra l'interesse a salvare lo sviluppatore dal default per evitare la catastrofe generale e il desiderio di proseguire con certe operazioni di pulizia repressiva.
Recentemente alti funzionari della PBOC hanno cercato di trasmettere tranquillità dichiarando che la situazione è sotto controllo. In realtà la faccenda è molto grave. Evergrande sta naufragando sotto una montagna di 300 miliardi di debiti che non riesce in alcun modo ad abbattere.
Lo sviluppatore puntualmente manca le scadenze sugli interessi obbligazionari e qualche piccola dismissione è nulla per cercare di tamponare una falla che imbarca acqua da tutte le parti. Non aiutano per nulla i dati rilasciati sul mercato delle case, dove nel mese di settembre vi è stato un crollo delle vendite del 30%.
L'energy crunch
La tempesta che si è riversata sul settore energetico del Paese non fa dormire sonni tranquilli al Governo, che ha dovuto accantonare i piani di transizione per il clima riproponendo il funzionamento a pieno regime delle centrali di carbonio. La mossa purtroppo è inevitabile, perché le fabbriche hanno dovuto ridurre la produzione per l'impennata del costo delle materie prime.
La situazione è ancora più grave dal momento che gli oneri non possono essere trasferiti al consumatore, poiché Pechino ha fissato un tetto per gli aumenti energetici. Un passo avanti è stato fatto dal Governo elevando dal 10% al 20% la possibilità di incremento delle tariffe rispetto a un benchmark di riferimento. Questo però potrebbe non essere abbastanza e inoltre si scontra con il pericolo che un'eccessiva liberalizzazione porti a una crescita dei prezzi fuori controllo.