Impensabile fino a qualche anno fa, indispensabile oggi. L’industria dell’asset management ormai da tempo ha cominciato a convertire fondi di investimento in ETF nel tentativo di efficientare l’offerta del catalogo prodotti andando così incontro alle aspettative degli investitori, ben predisposti verso i passivi.
Negli ultimi due anni in America sono stati convertiti circa 40 miliardi di masse amministrate di fondi in ETF e il trend non sembra essere destinato a decelerare nel 2023 stando alle dichiarazioni di diversi istituzionali.
Negli Stati Uniti il mercato degli ETF ha raggiunto i 6,6 trilioni di dollari con oltre 3 mila prodotti quotati. Ripetute analisi accademiche hanno dimostrato le difficoltà della gestione attiva di battere il benchmark a tutte le latitudini. Oltre ai costi, indubbiamente più elevati per i fondi, la narrativa della capacità dei gestori di fare meglio del mercato è stata smantellata da evidenze scientifiche che hanno letteralmente fatto decollare l’interesse per i fondi passivi e gli ETF. Identici nelle caratteristiche legali, diversi in quelle della politica di gestione e dei costi.
Se i fondi di investimento possono vantare una tradizione ormai secolare (il primo fondo è datato 1924), le dinamiche del mercato mostrano un evidente spostamento negli ultimi 20 anni verso il mondo degli ETF. Nel 2002 gli ETF raccoglievano appena il 2% delle masse amministrate, oggi siamo sopra il 20%. Il tasso di crescita annuale dei fondi è stato del 7% nell’ultimo ventennio per i fondi, del 24% per gli ETF.
Conversione di fondi in ETF: ragioni e conseguenze
La necessità di presidiare anche questo mercato ha costretto diverse realtà dell’asset management a entrare nel mondo degli ETF oppure a consolidarsi dentro realtà già strutturate come Invesco e SPDR, tanto per citare due big del mondo passivo assieme a Vanguard e iShares.
La conversione di fondi in ETF può avere varie motivazioni. Occultare definitivamente fondi fallimentari oppure trasformare classi istituzionali già a costi contenuti in strumenti quotati come gli ETF per renderli disponibili a investitori retail senza perdere il track record.
Nel 2020 ha cominciato le danze Guinnes Atkinson che ha convertito due ETF. Da quel momento anche big del risparmio gestito come BlackRock e JpMorgan hanno avviato una tendenza favorita anche dall’esplosione del fenomeno ESG e sostenibilità. Anche Fidelity ha recentemente annunciato nuove mosse di conversione nel 2023.
Seppur di fronte a numeri ancora limitati, questo fenomeno da una parte aumenterà offerta e pressione sui costi a favore dei consumatori. Dall’altra il rischio di pratiche tipo green washing, con ricircolo di strumenti scadenti in un mondo come quello degli ETF già affollato di numerosi strumenti e gestori, è sempre dietro l’angolo.
Come sempre il consiglio è quello di studiare bene i prodotti e se necessario rivolgersi a qualche esperto prima di fare mosse avventate magari su vecchi cimeli che l’industria del risparmio gestito ha deciso di “ristrutturare”.