La Gran Bretagna, e i suoi mercati azionari e obbligazionari, sono al centro dell’attenzione degli investitori per le mosse un po' incerte, per non dire audaci, del neo Governo di Londra capeggiato da Liz Truss. Non mancheranno altri fenomeni di intensa volatilità e quindi meglio essere preparati.
I minimi storici della sterlina nei confronti del dollaro hanno naturalmente impattato, come l’impennata dei rendimenti sui titoli di stato, sulle valutazioni di molti ETF che hanno la Gran Bretagna come paese importante all’interno dell’asset allocation dell’indice di riferimento.
Tralasciando ovviamente gli ETF dedicati esclusivamente al mercato inglese (e di cui abbiamo già parlato nell'articolo Crollo Sterlina: investire sugli asset inglesi con gli ETF), la mia attenzione si va a focalizzare su quegli indici globali o europei che rappresentano il core della maggior parte degli investimenti di un investitore privato di ETF.
Il peso della Gran Bretagna negli indici globali
L’indice Msci World vede ad esempio la Gran Bretagna come terzo contributore per peso percentuale dopo Stati Uniti al 70% e Giappone al 6%. La Gran Bretagna si posiziona al 5%. Lo stesso discorso vale per l’indice globale azionario più allargato All Country World dove la Gran Bretagna pesa per il 4%. Non cambia molto utilizzando altri indici come il Ftse utilizzato dagli ETF di Vanguard dove UK si piazza sempre al terzo posto con pesi analoghi a Msci.
Andando sugli indici sempre azionari globali delle small cap, il Regno Unito si piazza sempre al terzo posto dopo USA e Giappone con il 6% di esposizione. Minore l’impatto sugli ETF globali che investono nel real estate dove il peso UK è limitato al 3% del portafoglio.
Passando agli indici azionari europei ovviamente qui abbiamo un impatto decisamente più alto. L’indice Stoxx600 vede proprio la Gran Bretagna come primo paese per peso con il 25% di allocazione. Un peso ribadito anche negli indici Msci di piccola capitalizzazione dove il Regno Uniti pesa per ben il 29%.
Passando al mondo obbligazionario, dove si sono registrate le oscillazioni peggiori, l’impatto dei bond inglesi in sterline su un indice globale è simile a quello rilevato sull’azionario, ovvero circa il 5%. Attenzione però a certe tipologie di investimento. Ad esempio nel mondo inflation linked globali i Gilt sono secondi per peso solo agli Stati Uniti con ben il 23% dell’allocazione. E qui le oscillazioni non sono mancate.
Escludendo naturalmente tutti gli ETF obbligazionari dell’eurozona che per loro natura escludono investimenti in valute diverse dall’euro, una maggiore esposizione ai bond inglesi la ritroviamo su ETF corporate globali dove il Regno Unito si piazza al secondo posto con un peso del 8%. Impatto più contenuto nel mondo high yield globale dove il peso di UK si riduce al 6%.
I movimenti a cui sono stati soggetti negli ultimi tempi gli asset inglesi hanno quindi inevitabilmente avuto riflessi su tutte le asset class di investimento anche globali. Direttamente per il peso comunque non irrilevante di bond e azioni inglesi all’interno dei portafogli, indirettamente per la stretta correlazione di questo mercato con gli altri su scala globale.
Il bello della diversificazione è però anche questo. A fronte di debacle clamorose il resto del portafoglio attutisce (e di molto) il rischio permettendo all’investimento di ripartire su basi comunque solide quando la tempesta, questa volta inglese, sarà passata.