Il crollo del mercato azionario cinese, che ha fatto da corollario alla conferma di Xi alla guida del Paese, è stato certamente l’evento più importante delle scorse settimane sui mercati emergenti. Spingendo al ribasso Hong Kong del 6% in una sola seduta, è come se gli investitori internazionali abbiano voluto lanciare un segnale al vecchio, e a questo punto anche nuovo, corso cinese.
Trasparenza e affidabilità del sistema finanziario cinese sono fondamentali per i capitali del mondo sviluppato. E ora che i tassi di interesse in Europa come in America non sono più a zero, il sicuro rendimento di un titolo di stato permette di avere alternative redditizie e rassicuranti a mercati molto volatili come quelli emergenti.
Mercati emergenti: non solo Cina
Ma quando si parla di mercati emergenti non esiste solo la Cina. Certamente all’interno di un classico paniere di azioni emergenti come Msci Emerging Market la Cina ha un’importanza determinante (circa il 30%), ma ci sono altri paesi dell’area asiatica a completare il quadro, assieme, ovviamente, ai paesi dell’America Latina, dell’Africa e del Medio Oriente.
Tutto questo può essere sintetizzato in un ETF che investe nell’indice emergente ma senza la Cina. E dato che può essere interessante anche in prospettiva futura, andiamo a vedere in questo articolo come si è comportato questo ETF e quali sono le sue caratteristiche peculiari.
L’ETF in questione è il Lyxor Msci Emerging Market ex China. Il confronto lo farò con iShares Msci Emerging Market per comprendere pregi e difetti dell’ETF di Lyxor.
Con e senza Pechino: il confronto
Cominciamo dalle performance. A distanza di 3 anni effettivamente stare sui mercati emergenti senza la Cina è stato vantaggioso. La performance del +11% va infatti confrontata con lo zero dell’indice generalista. Lo stesso discorso si può fare per la performance da inizio anno, di un terzo inferiore a quella di iShares.
Investire al netto della Cina significa anche stare in un mondo a volatilità più ridotta (14% vs 17%).
Andando a spulciare le informazioni presenti sul sito istituzionale di Msci scopriamo però che dal 2000 le performance annuali sono esattamente identiche, il 7% composto. Numeri che tornano anche a distanza di 10 anni con un seppur modesto 1% annuo di rendimento per entrambe. Analogie che ritroviamo anche nelle valutazioni fondamentali dei due indici i cui rapporti prezzo utili stazionano per entrambe attorno a 11.
Quello che cambia è naturalmente l’asset allocation. Nell’ETF di Lyxor è l’India il primo paese all’interno del portafoglio con un peso del 22%. Segue Taiwan al 20%, Corea del Sud al 15% e Brasile al 8%.
Se andiamo sul tradizionale ETF che investe sui mercati emergenti Cina compresa, oltre alla Cina che domina con il 30%, abbiamo l’India al 15%, Taiwan al 13%, Corea del Sud al 10% e Brasile al 5%.
Cambia naturalmente anche la composizione settoriale. Nell’indice generalista i finanziari pesano per il 22% seguiti da tecnologia al 18% e consumi discrezionali al 13%. Escludendo la Cina tecnologia e finanziari dominano con il 25% ciascuno, seguiti dai materials al 11%.
Ultima nota relativa al costo decisamente competitivo per il prodotto di Lyxor che ha spese correnti di 0,15%, inferiori allo 0,18% di iShares.
In conclusione possiamo quindi dire che investire al netto della Cina è sicuramente possibile anche se dal punto di vista delle valutazioni fondamentali e delle performance storiche non si intravede una grandissima differenza. Cambia la composizione geografica, ma soprattutto quella settoriale. Due elementi di cui tenere conto quando si andrà a comporre un portafoglio di investimento.