L’investimento in titoli di Stato europei a lunga scadenza ha messo in difficoltà diversi investitori amanti del brivido, che avevano acquistato Bund tedeschi o BTP italiani a rendimenti da zero virgola. Ma spesso leggo anche di un disastroso andamento del mercato obbligazionario americano con perdite mai viste dal dopoguerra. Sicuri che è veramente così?
Effettivamente un indice americano aggregato che assembla bond governativi ed emissioni societarie ha perso fino al 15-20% nel corso del 2022 a seconda della duration più o meno alta. Ma noi viviamo in Europa e questa cosa tende ad essere ignorata. Osservando le performance da inizio anno ci accorgiamo alcuni ETF che investono proprio su obbligazioni americane hanno messo a segno una performance positiva.
ETF obbligazionari: il ruolo dell'apprezzamento del dollaro
Se l’ETF Xtrackers Fed Funds ci offre l’idea del valore acquisito dal dollaro rispetto all’euro in questo 2022 (+10%), l'Invesco US Treasury Bond da inizio anno segna uns variazione positiva di un paio di punti percentuali (dati all'11 agosto 2022). La perdita di prezzo dei titoli è stata compensata dalle cedole e soprattutto dalla forza del dollaro.
Il mondo del credito ha potuto beneficiare di questo miracolo solo in parte a causa dell’allargamento degli spread per i maggiori rischi di fallimento percepiti dal mercato in vista di una recessione. Così iShares US Corporate Bond ha perso il 4%, meglio iShares US High Yield Bond in guadagno da inizio 2022 del 3%. Il motivo? La duration che per i junk bond è solitamente molto più corta rispetto agli investment grade.
Sulle obbligazioni emergenti a cambio coperto il ribasso è arrivato a superare il 20% dal principio dell'anno. Anche in questo caso tenere aperto il rischio di cambio dollaro avrebbe mitigato la discesa, limitandola al 5%.
ETF: il costo di eliminare i fattori di rischio
Quando acquistiamo ETF obbligazionari dobbiamo sempre ricordare che esistono vari fattori di rischio: quello di tasso (e ce ne siamo accorti nel 2022), di credito e di cambio: eliminare ognuno di questi ha un costo. Spese di rendimento che vengono sacrificate accorciando la duration e quindi riducendo il rischio tasso. Ma anche rinunciando allo spread offerto da società private non considerate risk free. Costo di copertura del rischio di cambio che però non sappiamo in partenza se possa creare o meno performance in futuro.
Non necessariamente il dollaro americano proseguirà nella sua tendenza di rafforzamento nei prossimi mesi. Differenziali di crescita economica e di tasso di interesse faranno la differenza, ma come sempre i mercati si muoveranno in anticipo, legando le sorti di un investimento anche a quello della sua valuta di riferimento se non coperta.
La storia insegna che investire a cambio coperto nel lungo periodo non offre né un vantaggio né uno svantaggio in termini di rendimento finale. Sicuramente un beneficio inteso come minore volatilità. Questo lascia pensare che fra qualche anno il biglietto verde avrà un valore inferiore a quello attuale, ma non abbiamo idea di quanto scatterà l’inversione di tendenza. Intanto i miracolati del dollaro possono godersi il momento.