La shrinkflation è la pratica di ridurre le dimensioni o la quantità di un prodotto mantenendo lo stesso prezzo o addirittura aumentandolo. Un uso meno comune di questo termine può riferirsi a una situazione macroeconomica in cui l'economia si sta contraendo mentre si verifica anche un aumento del livello dei prezzi. Approfondiamo questa tecnica di marketing, facendo anche qualche esempio pratico che tocca anche l’Italia e i suoi prodotti.
Come riconoscere la shrinkflation
Shrinkflation (pronuncia “scrincfletion”) è un termine composto da due parole: “shrink”, ovvero restringimento, e “inflation”, cioè inflazione. Il termine “shrink” si riferisce quindi alla variazione delle dimensioni del prodotto, mentre “inflation” si riferisce all’aumento dei prezzi.
La shrinkflation è fondamentalmente una forma di inflazione nascosta. Come spiegato dal Codacons, “I consumatori tendono ad essere sempre sensibili al prezzo ma potrebbero non notare piccoli cambiamenti nella confezione o non fare caso alle indicazioni, scritte in piccolo, sulle dimensioni o sul peso di un prodotto. Spesso, inoltre, ad una diminuzione del quantitativo di prodotto [l’azienda] associa un nuovo packaging e un restyling visivo così da rendere il tutto ancor più accattivante”.
In sostanza l’azienda aumenterà i profitti non grazie all’aumento dei prezzi, ma facendo pagare la stessa cifra per un pacco che contiene un po' meno prodotto. Anche la ricerca accademica ha dimostrato che i consumatori sono più sensibili agli aumenti di prezzo espliciti che al ridimensionamento delle confezioni.
Vantaggi e svantaggi per le aziende
Dal punto di vista aziendale, la riduzione dell'inflazione è un modo utile per aumentare o mantenere i margini di profitto senza attirare troppa attenzione. Chi ama le patatine, ad esempio, potrebbe non rendersi conto se la sua marca preferita riduce le dimensioni della busta del 5%, ma quasi sicuramente sarà in grado di dire se il prezzo sale dello stesso importo.
I rivenditori spesso si dedicano alla riduzione delle perdite per combattere i costi di produzione più elevati. Quando gli input chiave, come le materie prime o la manodopera, aumentano di valore, il costo per la produzione dei beni finali aumenta. Ciò successivamente pesa sui margini di profitto, la percentuale di entrate rimanente dopo tutti i costi. Per le aziende prive di un forte potere di determinazione dei prezzi, ridurre la quantità del prodotto a volte rappresenta l'opzione migliore per mantenere un sano profitto senza compromettere i volumi di vendita.
Le aziende potrebbero anche ricorrere alla shrinkflation per mantenere la quota di mercato. In un settore competitivo, l'aumento dei prezzi potrebbe portare i clienti a passare a un altro marchio. L'introduzione di piccole riduzioni delle dimensioni delle loro merci, invece, dovrebbe consentire loro di aumentare la redditività mantenendo i prezzi competitivi.
Tuttavia, anche le tattiche di shrinkflation possono ritorcersi contro chi ne fa uso. La maggior parte delle persone non noterà piccole modifiche alle dimensioni di un prodotto, ma se lo noteranno si potrebbe avere un effetto dannoso sul sentiment dei consumatori nei confronti del brand, portando a una perdita di fiducia e sicurezza.
Un altro aspetto negativo della shrinkflation è che rende più difficile misurare con precisione le variazioni di prezzo o l'inflazione. Il prezzo diventa fuorviante, poiché la dimensione del prodotto non può sempre essere considerata in termini di misurazione del paniere di merci.
Esempi di shrinkflation
L’esempio più noto di shrinkflation è il “caso Toblerone”. Nel 2017, un aumento del costo del cacao aveva avuto un impatto diretto sulle aziende che producono barrette di cioccolato. Piuttosto che aumentare il prezzo del prodotto per il mercato inglese, dove sarebbe entrato in concorrenza con il molto simile Poundland, Toblerone scelse di “togliere qualche dente” al suo prodotto - una decisione che, purtroppo per l’azienda, non passò inosservata. Le due società finirono addirittura in tribunale.
Tra i grandi marchi che si sono impegnati nella riduzione della inflazione includono Coca-Cola, che nel 2014 ha diminuito la dimensione della sua bottiglia da due litri a 1,75 litri nel Regno Unito per trasferire il costo di una nuova tassa sul loro prodotto, e Cadbury, che ha ridotto del 10% (portandole da 200 a 180 grammi) le barrette di cioccolato Dairy Milk.
Le accuse sono finite su Nestlé per le sue barrette KitKat, Smarties e Lion, o persino Barilla, con confezioni di pasta ridotte in modo quasi impercettibile di dimensioni. Nei supermercati italiani, poi, alcuni degli esempi di shrinkflation riguardano:
- pacchetti di caffè, cereali e prodotti dolciari che riducono di qualche decina di grammi il contenuto delle confezioni
- tubi di patatine o confezioni di tè di dimensioni invariate ma che “perdono” qualche snack o bustina
- formati “standard” che da 1kg passano a 750gr, come nel caso delle colombe di Pasqua
Gli esempi sono ancora tanti; anzi, tantissimi: così numerosi che la comunità di Reddit ha deciso di aprire un forum esclusivamente dedicato alla shrinkflation, dove ogni giorno si possono trovare nuovi esempi di questa tecnica di marketing e come viene utilizzata in tutto il mondo.
La shrinkflation è legale?
La risposta è sì: la shrinkflation è legale, purchè sia comunicata in modo corretto ai consumatori. È questo il cardine attorno al quale girano diverse segnalazioni in tutto il mondo.
Già 2017 l’Istituto di statistica britannico ha “denunciato” il diffondersi della shrinkflation almeno dai 5 anni precedenti, con effetti su circa 2.500 prodotti venduti nel Regno Unito.
Nello stesso periodo, in Italia, l’Istat ha invece individuato circa 7.306 prodotti coinvolti nel fenomeno, che è poi solo cresciuto nel tempo, riguardando in particolare i beni di largo consumo (dolciumi in primis).
Proprio per questo, ad aprile 2022, la pratica è finita nel mirino delle associazioni dei consumatori. A inizio del mese Consumerismo No profit aveva denunciato il “trucchetto ‘svuotacarrelli’ che consente enormi guadagni alle aziende produttrici ma di fatto svuota le tasche dei cittadini”. A seguito del suo esposto, si è mosso anche il Codacons, che si è rivolto all’Antitrust e ha presentato a sua volta esposti in 104 procure d’Italia.
È un appello che potrebbe portare i suoi frutti. Negli Stati Uniti, è già stata vinta almeno una grande causa contro la shrinkflation: nel 2021, l’azienda di spezie McCormick ha pagato 2,5 milioni di dollari per aver messo meno pepe nero nelle sue confezioni.
Come tutelarsi dalla shrinkflation?
Attualmente in Italia non è attivo un monitoraggio costante del fenomeno della shrinkflation. Le associazioni dei consumatori si stanno però muovendo per chiedere nuove regolamentazioni che permettano controlli periodici sulle dimensioni, il contenuto e il prezzo dei prodotti in commercio.
Un altro suggerimento, nel frattempo, è quello di controllare il prezzo dei prodotti acquistati al chilo o al litro, piuttosto che quello della confezione, in modo da capire più facilmente se i nostri prodotti favoriti sono stati vittime di shrinkflation.