Come può uno scambio epistolare tra un Ministro del Tesoro e un Governatore di una Banca centrale stravolgere un sistema di politica monetaria di un Paese senza coinvolgere il Parlamento, in uno Stato democratico? Sembra assurdo eppure è quello che accadde il 12 febbraio 1981, cioè qualcosa di una portata storica e incomprensibile.
Quel giorno il Ministro Beniamino Andreatta scrisse una lettera all'allora numero uno della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi nella quale manifestava l'intenzione di impartire un profondo cambiamento nelle azioni di via Nazionale in rapporto al debito pubblico italiano. Ne seguì una serie di botta e risposta per iscritto, senza che ciò diventasse di pubblico dominio, e si decise ciò che poi cambiò per sempre il rapporto tra le due istituzioni.
Alla storia quell'atto passò come il divorzio tra il Tesoro e Bankitalia, che si concretizzò poi a luglio dello stesso anno. Da quel momento cioè lo Stato perse la sovranità monetaria mettendo in pasto ai mercati finanziari il finanziamento dei propri titoli di debito.
Tesoro-Bankitalia: come era il rapporto prima del divorzio
Per capire a fondo cosa fu effettivamente deciso bisogna fare un passo indietro e vedere come funzionava il rapporto tra le due istituzioni prima di quel famigerato giorno. Il Tesoro attingeva al finanziamento presso la Banca d'Italia attraverso due canali.
Il primo canale era il Conto Corrente di Tesoreria, ovvero un vecchio conto corrente bancario aperto dopo la Seconda Guerra Mondiale che il Ministero deteneva presso Palazzo Koch. Attraverso questo conto, lo Stato esercitava le sue funzioni di tesoreria e poteva avere uno sbilanciamento a debito che all'inizio fu fissato a 50 miliardi di lire e poi fu modificato al 15% (poi ancora portato al 14%) dell'ammontare di spesa previsionale.
Qualora il Tesoro avesse sforato, la Banca d'Italia lo avrebbe informato immediatamente intimandolo a rientrare entro 20 giorni, pena la sospensione del servizio stesso di tesoreria. Come spiegato dallo stesso istituto centrale in un documento pubblicato nel 2006, questo non poteva definirsi un vero e proprio finanziamento allo Stato, ma era un'apertura di credito che consentiva al Tesoro di mantenere una certa elasticità di cassa nei pagamenti e nei versamenti.
Il secondo canale era quello forse più significativo e riguardava l'acquisto della Banca d'Italia di tutti i titoli di debito pubblico che all'asta non trovavano una copertura nella domanda. In sostanza la Banca Centrale si poneva come prestatore di ultima istanza. Questo significava mantenere il costo del debito basso in quanto, nel caso il collocamento dei titoli sul mercato per finanziare la spesa pubblica fosse stato eccessivo, la quantità inesitata avrebbe trovato destinazione presso l'istituto centrale senza bisogno di aumentare il rendimento.
A sua volta Bankitalia per finanziare il Tesoro stampava cartamoneta dal nulla creando debito. Debito che però era fittizio, in quanto la Banca era dello Stato, quindi i due agivano di concerto. Quest'ultimo di fatto si trovava indebitato con sé stesso. In questa maniera il Tesoro poteva controllare la quantità di titoli da mettere sul mercato e soprattutto i tassi d'interesse. Questo sistema vigeva dalla riforma del mercato dei BOT del 1975 che allora sancì proprio il matrimonio tra i due istituti pubblici.
Divorzio Tesoro-Bankitalia: cosa accadde il 12 febbraio 1981
Con la separazione tra la Banca d'Italia e il Tesoro, dal 1981 la prima non fu più obbligata ad acquistare sul mercato primario le obbligazioni pubbliche che non trovavano collocazione. A quel punto il Ministero doveva esclusivamente rivolgersi agli operatori di mercato alzando i tassi di interesse per rendere i titoli appetibili e quindi per avere copertura dell'offerta.
Le conseguenze furono che negli anni a seguire il costo del debito aumentò in un anno del 2%, fino a raggiungere il record dell'8% nel 1992. Quindi quello che accadde fu che lo Stato si trovò costretto a tagliare la spesa per i servizi pubblici come strade, ospedali, scuole, ecc., rimpiazzandola con quella per gli interessi sul debito pubblico. Inevitabilmente allo stesso tempo dovette aumentare la pressione fiscale per colmare un disavanzo di bilancio che si faceva sempre più consistente.
La mazzata definitiva fu data dall'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, che vietata qualsiasi tipo di facilitazione creditizia agli Stati membri dell'Unione Europea da parte della Banca Centrale Europea e delle Banche Nazionali. Tra l'altro il Trattato stabilì l'abolizione del Conto Corrente di Tesoreria.
Tesoro-Bankitalia: i perché del divorzio
Sulle motivazioni reali di quella separazione si sono sprecati fiumi d'inchiostro. Si è cercato di giustificare il tutto con il tentativo di adeguare il sistema bancario centrale al sistema internazionale di negoziazione dei debiti pubblici a cui tutti gli Stati hanno aderito già dalla fondazione della Federal Reserve.
Con questo sistema si è voluto limitare l'ingerenza dello Stato nella politica monetaria di una Banca Centrale. In realtà tutto questo ha lasciato perplesso un gran numero di economisti, alla luce anche delle conseguenze che poi quell'atto ha avuto per il nostro Paese.
Lascia un pò sbigottiti un articolo confessione pubblicato sul Sole24 Ore il 26 luglio del 1991 dall'ex Ministro Andreatta che scrisse che il divorzio non ebbe e mai avrebbe avuto il consenso politico. E poi aggiunse: "Esso nacque da una "congiura aperta" tra il Ministro del Tesoro e il Governatore della Banca d'Italia prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi. Questo comportò un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso abolire per un ritorno al passato". Parole pesanti che inducono quantomeno a riflettere.