Le indicazioni sotto le stime arrivate la scorsa settimana rappresentano solo un assaggio: nel 2023 l’inflazione USA farà segnare una contrazione “significativa”. A dirlo sono gli analisti di Goldman Sachs.
Il calo al 7,7% messo a segno ad ottobre dall’indice dei prezzi al consumo statunitensi, che insieme all’allentamento delle tensioni sanitarie in Cina ha innescato un mini-rally dei mercati azionari, non dovrebbe restare un caso isolato.
In particolare, per il team di Goldman Sachs guidato da Jan Hatzius sono tre i fattori che faranno arretrare i prezzi: minori tensioni alle catene di approvvigionamento, un picco della c.d. “shelter inflation” (quella legata alla componente residenziale) e un rallentamento nella crescita delle retribuzioni.
Inflazione USA: quanto scenderà
I tre fattori citati spingeranno, stima Goldman Sachs, il tasso di inflazione USA misurato dall’indice Pce (Personal consumption expenditures) in versione “core”, quello misurato al netto delle componenti più volatili, dal 5,1% attuale al 2,9% entro dicembre 2023.
Il Pce è l’indice dei prezzi preferito dalla Federal Reserve. Il tasso di inflazione è normalmente misurato dal Cpi (Consumer price index), che rileva l’andamento dei prezzi di un paniere composto da 100 mila tra beni, servizi e costo dei noleggi i cui componenti sono fissi (vengono aggiornati una volta l’anno).
Il problema con il Cpi è che non misura i cambiamenti nelle scelte dei consumatori. Per ovviare a questo inconveniente, la Fed utilizza il Pce, che invece misura l’andamento dei prezzi di quello che viene realmente acquistato ogni mese.
Inflazione USA: perché scenderà
Il primo fattore citato da Goldman Sachs, quello relativo minori tensioni alle catene di approvigionamento, rappresenterà circa metà del calo complessivo: se attualmente questo elemento contribuisce con un +0,6% al dato complessivo, verso la fine del prossimo anno ridurrà il dato complessivo dello 0,4%. Questo perché le strozzature alle “supply chain” già nel corso dell’anno corrente sono in forte diminuzione, e le scorte di auto e beni di consumo sono tornate a salire dopo aver fatto registrare livelli decisamente bassi nel 2022.
Il secondo elemento che porterà ad una riduzione del Pce “core” è quello legato alla riduzione della componente residenziale, che dovrebbe toccare un picco in primavera. Questo perché la forte domanda di unità in affitto ha portato ad un incremento delle nuove costruzioni a livelli che non si vedevano da quasi mezzo secolo.
La terza ragione è rappresentata dalle minori pressioni rialziste sulle retribuzioni, visto che il ribilanciamento del mercato del lavoro sta già agendo su questa componente in settori come quelli delle vendite al dettaglio ed il tempo libero. Questa componente è vista in riduzione dell’1,5% al 4% entro la fine del prossimo anno.
“Tenendo conto di tutto questo, stimiamo un forte calo dell’inflazione Pce in versione core”, riporta la nota di Goldman Sachs.