Martedì 14 febbraio all’insegna dell’inflazione USA: il Bureau of Labor Statistics oggi ha diffuso gli attesissimi dati sull’andamento dei prezzi nella prima economia. Nel mese di gennaio, il CPI (Consumer Price Index) ha evidenziato un incremento del 6,4% annuo: nonostante il dato segni un calo rispetto al 6,5% della precedente rilevazione, è maggiore rispetto al 6,2% atteso dagli analisti.
In linea con le stime l’indice mensile, salito di mezzo punto percentuale in versione completa e dello 0,4% su base “core”, quella calcolata al netto delle componenti più volatili. Come nel caso del CPI standard, anche quello “depurato” su base annua è sceso meno del previsto: dal 5,7 al 5,6% annuo contro il 5,5% stimato dal mercato.
Inflazione USA: perché si tratta di importanti
Le indicazioni arrivate oggi sono particolarmente importanti in ottica Federal Reserve: in un contesto in cui dal mercato del lavoro continuano ad arrivare segnali di forza, una discesa dei prezzi minore delle stime non fa che confermare quello che i falchi della Federal Reserve vanno dicendo da tempo: nella lotta con i prezzi al consumo, la guerra non è ancora stata vinta.
Al momento, stando alle indicazioni che arrivano dal CME FedWatch Tool, per il meeting della Federal Reserve del 22 marzo il mercato stima una stretta di 25 punti base con oltre il 90% di probabilità mentre nel caso del meeting del 3 maggio un nuovo rintocco dello 0,25% è atteso al 75,7%.
Archiviati questi due rialzi, che porterebbero il costo del denaro USA nel range 5-5,25%, si entra in un territorio inesplorato, in cui le decisioni dell’istituto con sede a Washington saranno esclusivamente appannaggio dei numeri che arriveranno dal fronte macroeconomico.
"Al momento il mercato sconta due possibili rialzi dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve di 25 punti base e un possibile taglio del costo del denaro a fine 2023", ha detto Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia. "Le nostre aspettative sono più hawkish rispetto a quelle del mercato (3 rialzi da 25 pb nelle riunioni di marzo, maggio e giugno, e nessun taglio del costo del denaro nel 2023)".
“Ci attendiamo altri due rialzi…ma il rischio è di tassi più elevati: il mercato del lavoro si conferma solido e necessiterà di un po’ più di tempo per iniziare a mostrare segni di un deterioramento”, ha detto Oscar Munoz, macro strategist di TD Securities.
“La Fed -ha rilevato il capo economista per gli Stati Uniti di Goldman Sachs, David Mericle- dovrà far girare l’economia sotto il suo potenziale di crescita per un periodo di tempo esteso per ribilanciare ulteriormente il mercato del lavoro e creare le condizioni per riportare, in pianta stabile, l’inflazione al 2%”.
Le reazioni del mercato alla pubblicazione dei dati USA
Un tasso di inflazione che probabilmente obbligherà la Fed a fare gli straordinari sta spingendo al ribasso il listini azionari, lo S&P500 poco dopo l’avvio scende di mezzo punto percentuale mentre l’Euro Stoxx 50 quota in sostanziale parità, e favorendo il biglietto verde: salito fino a 1,08 nel corso della prima parte, al momento l’Euro/Dollaro quota 1,071 mentre il Dollaro/Yen avanza dello 0,5% a 133 ¥. Incremento di pari entità per il rendimento dei decennali USA, in aumento di poco sotto il 3,74%.