- Greta Thunberg e sostenibilità incidono negativamente sull’appeal del greggio;
- Questione Libia: prezzi in aumento per possibile riduzione della produzione;
- Incognita sulla politica energetica americana dopo le elezioni del 2020.
Se la nuova possibile crisi finanziaria si scatenasse dal cosiddetto cigno verde, ovvero dalla mancanza di adeguate politiche di sostenibilità per il nostro pianeta, il petrolio sarebbe sicuramente uno degli assets piu’ colpiti e penalizzati.
Tuttavia il momento attuale del greggio è abbastanza controverso: da un lato le politiche di sostenibilità ne minano l’appeal, dall’altro il problema Libia fa schizzare verso l’alto il prezzo.
Di seguito si proverà ad analizzare le due tematiche.
Oggi è il giorno di Greta Thunberg che a Davos (dove si sta svolgendo il World Economic Forum) parlerà e si confronterà con Trump e gli altri capi di stato. E’ fondamentale notare che il 15% dei gas serra sono legati ai processi di estrazione e trasporto del greggio e buona parte di queste emissioni si potrebbe ridurre rapidamente (come riporta un articolo del Sole24ore). Il greggio sta subendo una demonizzazione in termini di accettabilità sociale che potrebbe minare la redditività del settore. E’ altresì da considerare che uno stop agli investimenti nei pozzi petroliferi porterebbe un declino della produzione dell’ 8% (secondo le stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia), percentuale non sopportabile allo stato attuale che provocherebbe un brusco aumento del prezzo ed una pesante ricaduta su tutto il sistema industriale. Realizzare l’obbiettivo di una transizione da energia da combustibile fossile a rinnovabile è un processo che si dovrebbe iniziare fin da ora per raggiungere ad esempio entro il 2050 il taglio del 50% delle emissioni provenienti dal trasporti via nave, anche se i costi stimati sono di 1400 miliardi di dollari. Uno dei problemi sono gli investimenti delle grandi multinazionali petrolifere che reinvestono solo l’1% del loro capitale nell’energia rinnovabile.
Se da un lato la strada nel medio-lungo termine sembra giustamente segnata e caratterizzata da una progressiva perdita di importanza del greggio; nel breve termine siamo ancora troppo dipendenti da questa fonte energetica.
Non è un caso che dopo le notizie provenienti dalla Libia, dove il generale Haftar ha occupato alcuni pozzi petroliferi, il Brent abbia chiuso a 65 dollari al barile segnando un + 2% intraday.
La compagnia di stato libica Noc ha dichiarato che la produzione potrà calare da oltre 1 milione di barili al giorno (media del 2019) a 72 mila. Le ripercussioni sarebbero pesanti soprattutto per l’Europa (l’Italia ad esempio ha importato il 12% del fabbisogno di petrolio dalla Libia stessa). Eni ha risentito del newsflow perdendo in 2 giorni quasi il 2%, anche perché gli interessi in territorio libico del colosso italiano sono davvero considerevoli.
E’ utile pero’ sottolineare che l’unica fonte di sostentamento libico (utilizzata anche da Haftar per pagare le milizie) sono i ricavi provenienti dal petrolio e una continuazione della politica attuale porterebbe ad una crisi enorme e non sostenibile per la Libia. Sembra quindi difficile il perdurare della situazione attuale anche perché il comportamento del ribelle Haftar porterebbe la Libia nel baratro e darebbe ancor piu’ risalto e popolarità al premier Fayez Serraj, ovvero il capo del governo riconosciuto dall’Onu. Haftar sta procedendo ad un suicidio sia politico che economico con le sue azioni.
Per concludere, emerge un quadro abbastanza eterogeneo sul petrolio: da un lato nel lungo periodo (si parla di 2030-2050) ci si aspetta un ruolo molto ridimensionato di questo asset, dall’altro nel breve risulta ancora determinante sia nell’economia reale che nelle dinamiche politiche.
Dopo lo spike di questi ultimi giorni è prevedibile un riassestamento al ribasso del prezzo intorno ad area 61 - 62 per il Brent.
Infine una terza grande incognita è rappresentata dalla politica statunitense dove Trump mira, andando controcorrente, a raggiungere l'indipendenza energetica investendo prevalentemente sui combustibili fossili ma la possibilità di un cambio di politica a seguito delle elezioni 2020 è reale e aggiunge volatilità al greggio.