La Cina sta lottando assiduamente per raggiungere uno status in cui l'infezione da Covid-19 è pari zero. Per farlo adotta una serie di misure draconiane che sarebbero impensabili in altri Stati del mondo con chiari fondamentali di democrazia. L'obiettivo di Pechino però è quello di evitare che la pandemia abbia ancora un impatto disastroso sull'economia del Paese.
In questo momento però è un'altra la questione che tiene in apprensione le alte cariche dello Stato e che potrebbe riflettersi negativamente a livello mondiale: la crisi immobiliare. Il settore delle case rappresenta circa il 25% del PIL cinese e l'andamento del mercato condiziona in maniera determinante la crescita economica.
La situazione di Evergrande, prossima al default, tiene il Governo cinese ancora paralizzato di fronte un difficile bivio: continuare ostinatamente con il piano di prosperità comune tenendo ben stretti i cordoli della repressione oppure evitare la catastrofe intervenendo con un ampio piano di salvataggio.
Cina: la crisi immobiliare fa più paura del Covid-19
Gli ultimi risultati sulla crescita del Dragone non sono certamente di quelli che fanno esultare. Il PIL del mese di ottobre ha fatto registrare appena un +4,9%, al di sotto di 3 punti percentuali rispetto al mese precedente. E il consensus per il quarto trimestre si aggira intorno al 3,5%, una quota ancora più bassa rispetto all'ultima lettura. Per l'intero anno la Cina dovrebbe aumentare dell'8%, ma perché riflette la grande espansione post-pandemica del primo semestre.
Il problema rimane il 2022 e quello che potrà succedere una volta che sul fronte immobiliare la situazione dovesse degenerare. A quel punto gran parte della domanda verrebbe risucchiata da una crisi generale che si farà fatica ad arginare, in concomitanza con l'energy crunch che fa pericolosamente aumentare i prezzi dei beni di consumo.
Ci potrà essere quindi un crollo di domanda da stagflazione proprio in Cina? Bisognerà vedere come il Governo centrale decide di reagire all'insorgere dei primi veri segnali di debacle, quanto cioè percepisce che una crisi immobiliare di immani proporzioni possa finire per creare uno shock nel Paese addirittura peggiore di quello del Covid-19.
Cina: l'impatto sugli altri Paesi del calo della crescita
Il problema è che una situazione di questo tipo non è racchiusa dentro il perimetro di Pechino, ma investe per forza di cose tutto il mondo che è in affari con il Dragone. Questo quarto trimestre si preannuncia essere molto forte in termini di crescita, anche perché è quello delle grandi spese natalizie e quindi trae forza da una domanda più elevata rispetto al resto dell'anno. In USA si prevede un'espansione del 4,6%, in linea con quella tedesca e giapponese. Le increspature di un rallentamento cinese però potrebbero far deviare notevolmente la ripresa. L'ex Impero Celeste rimane il principale consumatore mondiale e un crollo della domanda avrebbe effetti devastanti sulla produzione mondiale.
Questa forma di dipendenza cinese tiene con il fiato sospeso i Governi delle economie avanzate che sperano in un'azione di stimolo da parte della People's Bank of China. La Banca Centrale cinese finora è stata lenta a correre in soccorso, proprio per raffreddare un'economia che stava prendendo una strada non congeniale agli obiettivi del Governo di smorzare la leva finanziaria. Se la debolezza sarà sostenuta tuttavia l'istituto monetario sarà costretto in qualche modo a rispondere, ad esempio attraverso il taglio del coefficiente di riserva obbligatoria per le banche.
L'unica notizia positiva di questo quadro generale è che un calo della domanda cinese potrebbe frenare la crescita del tasso d'inflazione, che sta seriamente preoccupando in particolar modo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Minori importazioni da Pechino di alcune materie prime come la soia, il minerale di ferro e il petrolio potrebbero finalmente avallare la convinzione della Banche centrali, finora non dimostrata dai fatti, che l'inflazione sia solo un fenomeno temporaneo.