Misurare l'andamento dell'economia cinese in questo momento non è una cosa molto semplice, al di là delle rilevanze statistiche delle ultime settimane. Sì, il PIL nell'ultimo mese ha perso 3 punti percentuali su base annua rispetto al mese precendete e gli ultimi dati sull'inflazione ci dicono che i prezzi alla produzione non crescevano così tanto dal 1996. Occorre però entrare dentro le dinamiche che guidano le variabili economiche per capire effettivamente che cosa sta succedendo.
Molti attribuiscono il rallentamento della seconda superpotenza mondiale al tentativo del Governo di arpionare l'insorgere del Covid-19 per l'ennesima volta, ma soprattutto alla tempesta che si è abbattuta sullo sviluppatore immobiliare Evergrande e di riflesso su tutto il settore. Ma siamo sicuri che questa sia la causa e non l'effetto dell'attuale situazione che sta vivendo la Cina?
Cina: modello economico simile a quello giapponese del Dopoguerra
Per rispondere a questa domanda bisogna osservare il modello economico del Dragone in tutti questi anni. Per farlo si può ricorrere a un excursus storico che riguarda un modello simile, ossia quello del Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, che ha trovato la triste conclusione all'inizio degli anni '90 quando il Paese ha dovuto iniziare seriamente a combattere contro una sfibrante deflazione.
Dopo il conflitto bellico, il Paese del Sol Levante ha impostato un sistema finanziario con propensioni estremamente generose in termini di prestiti ai vari settori produttivi. Tali prestiti venivano garantiti dalle proprietà immobiliari.
Le aziende di conseguenza non miravano molto alla redditività ma alla conquista di quote di mercato, con la conseguenza che gli investitori traevano scarsi rendimenti dal loro capitale. Il rischio di credito inoltre veniva di fatto appiattito attraverso una sorta di socializzazione dello stesso.
Il meccanismo si è inceppato quando negli anni '80 vi è stata la liberalizzazione dei mercati e lì è apparso evidente come le aziende poco redditizie non potevano sostenere il deficit finanziario accumulato. Inizialmente si è pensato di mettere una pezza con nuovi prestiti, ma poi si è resi conto che l'ammontare del debito si faceva sempre più cospicuo al punto da divenire insostenibile. Alla fine del 1989 i finanziamenti bancari alle imprese crebbero del 60% in tutto il decennio, senza che le Autorità di Regolamentazione si preoccupassero di questo incremento esponenziale.
Quando le carte sono state scoperte, i prezzi delle azioni sono franati, seguiti dalle quotazioni delle proprietà immobiliari in garanzia dei prestiti. A quel punto le aziende si sono dovute instradare verso una stretta, risparmiando piuttosto che prendere a prestito. Questo ha generato una enorme contrazione per l'economia giapponese, implosa dietro uno straordinario avanzo delle partite correnti. A metà degli anni '90 la situazione era diventata critica, con la popolazione che ha cominciato a invecchiare e a ridursi in età lavorativa, sperimentando disoccupazione e scarsa produttività.
Cina: analogie e differenze rispetto al Giappone di 30 anni fa
La Cina oggi vive una situazione simile a quella del Giappone di quegli anni. Un punto in comune è sicuramente l'invecchiamento della popolazione e la riduzione della stessa in età lavorativa. Pechino in questo ha raggiunto il picco 10 anni fa e da allora la popolazione è in contrazione.
L'espansione del deficit aziendale rispetto al PIL è un'altra analogia. Il Giappone aveva raggiunto un picco dell'8%, negli ultimi anni in Cina si è sperimentato un deficit di 14 punti percentuali. Adesso però le imprese sono costrette a risparmiare, giocoforza l'economia cinese farà ancora più fatica visto che l'espansionismo è stato addirittura più marcato rispetto a Tokyo.
Una terza similitudine riguarda gli investimenti immobiliari. Trent'anni fa in Giappone la spesa per le costruzioni immobiliari era circa dell'8% del PIL, in Cina è del 15%. All'epoca i prezzi delle case erano più volatili, ma la speculazione immobiliare cinese ha richiesto un intervento draconiano da parte del Governo per mettere un argine.
Una grande differenza invece riguarda l'espressione valutaria dei debiti societari. La gran parte di essi era denominata in yen in Giappone, mentre oggi in Cina vi sono 5.000 miliardi di passività rappresentati in valuta estera. Questo pone limiti di intervento alla PBOC nell'ottica di innescare la ripresa facendo leva sui tassi d'interesse. In quegli anni la Bank of Japan cercò di combattere la deflazione con tassi a zero per tanti anni, ma solo nell'ultimo decennio in realtà ha ottenuto qualche risultato.