Dall'inizio della pandemia le aziende di tutto il mondo hanno vissuto un periodo drammatico sul fronte degli approvvigionamenti dei chip industriali. Questo ha portato in molti casi all'interruzione della catena produttiva e alla chiusura delle fabbriche. Oggi si vedono tenui segnali di miglioramento, ma la situazione resta ancora critica.
Il minimo comune denominatore nelle previsioni aziendali per i prossimi mesi è proprio quella carenza dei semiconduttori che condizionerà i profitti, almeno fino alla prima parte del 2022. Alcune aziende temono che il calvario possa addirittura estendersi fino al 2023, soprattutto se non viene fatto qualcosa a livello governativo e dal lato dell'offerta per riequilibrare il mercato.
I più grandi produttori di chip si stanno attivando investendo in nuove fabbriche di produzione. Ad esempio Taiwan Semiconductor Manufacturing Company ha messo in piedi un piano d'investimento di 100 miliardi nei prossimi 3 anni. Samsung e Intel si stanno organizzando per mantenersi sul pezzo. Nel complesso si prevede che solo quest'anno i produttori globali verseranno 146 miliardi di dollari in spese in conto capitale, ovvero più del 30% rispetto al 2020 e circa il 50% in confronto al 2019.
Carenza chip: ecco perché può continuare
Il problema però è un altro e risponde alla domanda: su quali chip si sta investendo? Le stime dicono che solo circa il 15% è destinato ai semiconduttori ordinari, il resto è impiegato in prodotti tecnologici di nuova generazione. Questo purtroppo non risolve la questione attuale delle forniture, soprattutto nel settore automobilistico, dove vengono utilizzati chip più obsoleti.
Per tamponare la situazione TSMC e Sony hanno annunciato la costruzione di un impianto da 7 miliardi di dollari in Giappone per produrre materiali basati su precedenti tecnologie. Ma anche qui vi è il grosso problema che la produzione di massa non inizierà prima del 2024, quindi nel frattempo tutte le problematiche che concernono la catena degli approvvigionamenti sono destinate a rimanere tali.
Molte altre imprese che producono chip di vecchia generazione, denominati chip legacy, sono molto riluttanti a fare investimenti per aumentare la capacità produttiva di queste tipologie. La ragione è che nell'arco di pochi anni gli impianti potrebbero essere sottoutilizzati per un crollo della domanda, sostenendo in questo modo delle perdite notevoli determinati da costi fissi che non si riesce più a recuperare.
Finora quelli che hanno speso per chip legacy hanno oculatamente misurato la domanda e si sono assicurati le prenotazioni anticipate dei clienti bloccando i prezzi. Al riguardo UMC ha investito 2,3 miliardi di dollari quest'anno, Texas Instruments 1,2 miliardi di dollari, mentre STM e Infineon prevedono di terminare il 2021 con un investimento rispettivamente di 2,1 e 1,2 miliardi di dollari.
Carenza chip: cosa fanno i governi?
I Governi potrebbero certamente venire in soccorso dei produttori di chip, anzi lo stanno facendo per aiutarli a costruire nuovi impianti. Il fatto è che anche qui gli incentivi sono concentrati sulle nuove tecnologie. Ad esempio del finanziamento approvato dal Senato degli Stati Uniti di 52 miliardi di dollari per sostenere la ricerca e la produzione di semiconduttori, solamente 2 miliardi sono destinati ai chip legacy, ovvero meno del 4% dei fondi.
Per il resto settore è incandescente, con una spesa annua che secondo le stime di S&P Global Ratings supera di 2,5 volta la media storica. Questo accompagna i grandi investimenti globali che per Morgan Stanley scavalcheranno quelli della pandemia, ma che alla fine però potrebbero risultare mal direzionati.