Ci risiamo: all'interno dell'OPEC+ è scoppiato nuovamente un terremoto che ricorda le faide interne della primavera 2020. Stavolta gli artefici principali della querelle sono l'Arabia Saudita e l'Emirati Arabi Uniti. Dopo il nulla di fatto dello scorso weekend circa un'intesa sull'aumento dell'offerta di petrolio, nella giornata di ieri si attendevano novità chiarificatrici dall'incontro dei Paesi produttori di greggio.
L'obiettivo principale è quello di evitare una guerra dei prezzi che possa far correre le quotazioni dell'oro nero in maniera incontrollata, generando pressioni inflazionistiche molto pericolose. La riunione però si è chiusa in malo modo, con un disaccordo totale tra i due Stati citati su come organizzare l'offerta e con l'abbandono del meeting tra battibecchi delle due delegazioni.
La conseguenza dell'interruzione dei colloqui si è fatta sentire sul mercato petrolifero, con il Brent che ha scavalcato quota 77 dollari al barile e il WTI che ne è a ridosso.
OPEC+: cosa succederà dopo lo scontro interno?
Non è la prima volta che l'Arabia Saudita deve tentare di tenere a bada la vivacità degli Emirati Arabi Uniti sulla politica petrolifera da attuare. Alla fine dello scorso anno lo scontro si fece molto aspro, con gli Emirati che addirittura minacciarono di lasciare il cartello.
I sauditi poi riuscirono a farli ragionare, ma fu però una tregua armata quella. Infatti i motivi del dissenso sono stati riproposti e la rottura dei negoziati stavolta può portarsi dietro degli strascichi fastidiosi, se si pensa che non è stata nemmeno concordata una data per il prossimo meeting.
Ora che succede? Stando così le cose, l'incremento dell'output che si pensava potesse avere luogo nel mese di agosto non avverrà, creando tutte le condizioni perché l'eccesso di domanda possa far salire ancora il prezzo del petrolio.
Per questa ragione, la Russia, che è l'altro peso massimo del Cartello, sta cercando di adottare le armi diplomatiche, lavorando dietro le quinte per ripristinare una situazione che non sia di conflitto. Mosca era stata protagonista nella primavera del 2020 del feroce scontro con Ryad in merito al taglio dell'offerta, cosa che aveva provocato il più grande shock petrolifero che si fosse mai visto. Adesso i russi sostengono a gran voce un aumento della produzione e si stanno battendo per aprire i rubinetti.
Anche l'Iraq si sta attivando perché entro 10 giorni possa stabilirsi un nuovo incontro che sancisca un accordo stavolta che accontenti tutti. Occorre dire che l'OPEC+ da maggio a luglio ha aggiunto all'output circa 2 milioni di barili al giorno che aveva tenuto a riposo all'inizio della pandemia. È stato stimato, però, che nella seconda parte del 2021 occorrerà coprire un gap di almeno 5 milioni di barili giornalieri e, stando così le cose, l'impresa appare molto difficile.
Petrolio: l'opinione degli analisti sul no-deal OPEC
Ad essere estremamente preoccupati dalla trattativa saltata in seno all'OPEC+ sono gli Stati Uniti, che stanno affrontando la pericolosa minaccia dell'inflazione, la quale potrebbe essere acuita dal rincaro del greggio. La Casa Bianca teme che tutto questo avrà un impatto deleterio sull'economia e quindi sta monitorando da vicino i negoziati in corso, esortando i 23 Paesi che compongono il Cartello ad arrivare a un compromesso.
Gli analisti tuttavia non credono molto che il no-deal sarà portato avanti a lungo, sebbene nel breve il mercato petrolifero potrà subire qualche scossone. Giovanni Staunovo, strategist di UBS, vede il greggio salire verso gli 80 dollari entro settembre, ma l'alleanza potrebbe nel frattempo giungere a un accordo. Secondo l'esperto sarà molto importante il rilascio dei prezzi ufficiali di vendita di Saudi Aramco nei prossimi giorni per avere una maggiore chiarezza sulle conseguenze del mancato sodalizio.
Warren Patterson, capo strategist delle materie prime a Singapore per ING, ritiene che ci sia tutto il potenziale per una guerra dei prezzi come quella dell'anno scorso, ma stavolta i membri dell'organizzazione faranno il possibile per evitarla. A suo avviso, una soluzione sarebbe di aumentare l'offerta di 2 milioni di barili al giorno da agosto a dicembre e poi in seguito ragionare su una possibile estensione.
Per Fereidun Fesharaki, presidente del consulente industriale FGE, alla fine un compromesso ci sarà, ma fino a quando ciò non avviene il petrolio potrà schizzare fino a 85-90 dollari al barile. E questo genererà probabilmente un ampliamento della produzione di scisto statunitense.