Gli ingenti piani di spesa messi a punto dai Governi di tutto il mondo per contrastare gli effetti della crisi economica causata dalle misure restrittive per arginare il contagio di Covid-19 hanno spinto sempre più Paesi a pensare a un incremento della tassazione. Le prime idee di un incremento dell’imposizione fiscale sono arrivate dagli Stati Uniti, quando il Presidente Joe BIden ha dichiarato l’intenzione di incrementare le tasse sul capital gain dal 23,8% al 43,4% per i rediti superiori a 1 milione di dollari, che secondo una ricerca di Tax Foundation ricavano il 40% del loro reddito dagli investimenti.
Oltre a questo, è previsto un incremento dell’imposizione dal 21% al 28% per le aziende, un 15% minimo per gli utili, e un aumento dal 37% al 39,6% per i soggetti con un reddito superiore a 400.000 dollari. Non solo. Biden appare anche intenzionato a varare misure per evitare l'evasione fiscale controllando i conti esteri degli statunitensi in criptovalute. Queste proposte, se approvate, sarebbero in netta contrapposizione con le politiche di Donald Trump improntate all’abbassamento della pressione fiscale. Le proposte degli Stati Uniti non si limitano solamente al loro Paese.
Tassa minima globale: cosa è e gli effetti per l'Italia
Lo scorso maggio infatti gli USA hanno proposto una tassa globale minima sulle aziende del 15%, inferiore rispetto al 21% inizialmente proposto, e verrà applicato sulla base di alcuni coefficienti di redditività. Secondo alcune stime saranno circa 100 i colossi multinazionali colpiti da questa norma. L’obiettivo è quello di rendere più eque le aliquote societarie e di tentare di evitare che le grandi aziende spostino i loro utili nei paradisi fiscali. Questa proposta dovrebbe ora venire approvata dai ministri delle Finanze del G7, che si riuniranno a Londra i prossimi 4 e 5 giugno.
Questo incontro dovrebbe quindi gettare le basi per la discussione al G20 di luglio a Venezia. A tal proposito, il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, in un’intervista si è detto ottimista in merito al possibile raggiungimento di un accordo durante l’estate 2021, con i vari Stati orientati per un’aliquota di almeno il 15%.
Secondo gli studi dell’Osservatorio Europeo sul fisco, a seconda dell’aliquota che verrà decisa il gettito fiscale europeo potrebbe aumentare tra il 13% e il 50%. Per l’Italia, alcune stime evidenziano come con questa nuova imposta verrebbero recuperati tra gli 5,7 e i 7 miliardi di dollari l’anno dalle società che spostano parte dei loro profitti in Paesi con un profilo fiscale più vantaggioso.
Dazi Europa-USA: Biden tende la mano al Vecchio Continente
Un altro elemento che differenzia l’Amministrazione Biden con quella a guida Donald Trump è il fronte geopolitico. Dopo la recente telefonata tra il Vice Premier cinese Liu He e la Segretaria al Tesoro Janet Yellen in cui si è discusso di cooperazione e recupero dell’economia, il Presidente USA ha sospeso il dazio per la digital tax per sei mesi. L’obiettivo dell’inquilino della Casa Bianca è quello di trovare un accordo nel suo prossimo incontro con i leader europei.
Queste tariffe del 25% si applicano a Regno Unito, Italia, Austria, India, Spagna e Turchia, penalizzando 300 milioni di importazioni annue italiane in USA. Ricordiamo come la web tax italiana preveda un’aliquota del 3% sui ricavi tassabili delle società di internet che all’anno precedente hanno avuto un fatturato minimo di 750 milioni di euro e ricavi da servizi digitali realizzati in Italia di almento 5,5 milioni di euro.
Aziende come Amazon, Alphabet e Facebook verrebbero quindi penalizzati. Da segnalare come le esportazioni digitali delle 40 società USA più importanti arrivino a 517 miliardi di dollari l’anno. Un possibile elemento che potrebbe disinnescare tutto questo insieme di dazi sarebbe proprio la global minimum tax descritta prima.
Dazi Europa: la Commissione prepara l'offensiva alle emissioni di CO2
La guerra dei dazi sembra comunque lontana dalla sua conclusione. Bloomberg riporta infatti come l’UE stia pianificando di imporre nuove tariffe sulle importazioni di materie prime tra cui acciaio, cemento, fertilizzante ed elettricità sulla base delle emissioni di CO2. La proposta dovrebbe venire discussa il prossimo 14 luglio e h l’obiettivo di rendere più equa la competizione tra le aziende del blocco, che hanno alti standard per la riduzione delle emisisoni, e quelle estere.
Bloomberg evidenzia anche come questi dazi verranno implementati in pieno nel 2026 dopo una fase iniziale nel 2023. Gli importatori dovrebbero acquistare dei certificati digitali dall’equivalenti di una tonnellata di CO2 emessa dai prodotti oggetto dell’import. Il costo di questi strumenti sarebbe connesso a quello dei permessi sul mercato delle emissioni europeo (al momento pari a 52 euro a tonnellata). La Commissione, che non ha commentato la notizia, dovrebbe però evitare questa imposizione a quei Paesi che hanno politiche ambientali ambiziose come quelle del Vecchio Continente.