Il Coronavirus ha fatto diventare emergenziale il problema del dumping fiscale. La mole di spesa che i Governi di tutto il Mondo devono affrontare per superare la tragedia economica globale richiede un prezzo salato da far pagare anche a chi negli anni è stato agevolato in maniera inappropriata dal punto di vista fiscale.
La proposta del Segretario del Tesoro USA, Janet Yellen, non poteva quindi non incontrare il favore diffuso dei Capi di Stato e di Governo del G20. L'introduzione di una tassa globale internazionale deve essere solo definita nei dettagli e nella tempistica, ma ormai sembrano esserci pochi dubbi al riguardo sulla sua applicazione.
Si parla al proposito del mese di luglio come data in cui potrebbe vedere la luce. Una volta implementata, l'imposta risolverebbe in buona parte le dispute sulle digital tax nazionali che sono state al centro delle tensioni tra Stati Uniti ed Europa negli ultimi anni.
Tassa globale multinazionali: la proposta americana
Joe Biden punta a una nuova global minimum tax del 21%, che è la quota più alta di quanto nel recente passato è emerso in base alle discussioni avute con altri Paesi. In questo momento gli Stati Uniti impongono una tassa del 10,5% sui profitti offshore. Quindi le grandi multinazionali, con la nuova proposta, si troverebbero a pagare la differenza nel caso in cui le aliquote all'estero fossero inferiori.
L'aliquota verrebbe calcolata in base all'attività dell'azienda in ogni Paese e i proventi verrebbero divisi equamente tra il Paese in cui vengono prodotti i ricavi e il luogo di provenienza della multinazionale. Facendo affidamento alle stime, l'imposta porterebbe nelle casse americane circa 2.000 miliardi di dollari nell'arco di un decennio. Una cifra, insomma, che permetterebbe di coprire gran parte del maxi-piano da 2.300 miliardi lanciato a marzo dal Presidente americano.
L'idea è stata abbracciata senza remore da Mario Draghi, essendo l'Italia uno dei Paesi che maggiormente verrebbe coinvolto in un'operazione del genere. Tuttavia qualche resistenza in Europa l'ha incontrata. Ad esempio il Ministro delle Finanza francese, Bruno Le Maire, prova a smorzare il provvedimento avanzando l'idea di una tassazione più leggera, che si aggiri intorno al 10-15%.
Tassa globale multinazionali: chi vince e chi perde
Uno scenario del genere vedrebbe indubbiamente trionfare tutti quei Paesi che negli anni hanno sofferto i marchingegni fiscali adottati dalle proprie aziende per sfuggire alle pressioni del Fisco domestico. L'Italia, la Francia e la Germania in testa, che impongono oneri fiscali tra il 28% e il 32%, avrebbero un ritorno monetario in termini di gettito tributario non indifferente.
Viceversa, i paradisi fiscali come Ungheria, Bulgaria e Irlanda sarebbero pronte a dare battaglia, dal momento che le proprie aliquote si aggirano tra il 9% e il 12,5%. Avranno però la forza contrattuale sufficiente per arginare una tendenza che ormai è in corso e che difficilmente potrà essere arrestata, vista l'emergenza?
Sul fronte aziendale non faranno i salti di gioia le big company come Amazon, Facebook, Google, eccetera. le quali hanno approfittato per anni del dumping fiscale ingrassando le loro casse a scapito di quelle dell'Erario di provenienza.
È ancora incerto come il fronte delle grandi aziende si organizzerà in proposito per evitare di "finire in pasto" alla stretta fiscale dei Governi, però qualche segnale che forse non si porranno del tutto sul piede di guerra è arrivato da Jeff Bezos.
Il numero uno di Amazon nei giorni scorsi non si è detto contrario all'aumento delle tasse alle imprese dal 21% al 28% voluta dall'Amministrazione Biden. Questo può essere un segnale di suo positivo, magari lo stesso atteggiamento costruttivo l'uomo più ricco del mondo lo avrà anche verso l'imposizione della tassa globale alle multinazionali.