Un intreccio perverso tra mafia, politica, massoneria, finanza e Vaticano. Questa è la storia che ruota intorno al crack del Banco Ambrosiano avvenuto il 6 agosto del 1982. Molti sono ancora i misteri rimasti irrisolti e che aleggiano sulla figura del Presidente Roberto Calvi, morto in circostanze mai chiarite poco prima di uno dei più grandi dissesti bancari italiani del '900.
Banco Ambrosiano: origini e sviluppi
Il Banco Ambrosiano nacque nel 1896 in scia allo sviluppo economico dell'epoca nel nostro Paese. L'istituto aveva un'impronta chiaramente cattolica. Infatti, chi volesse lavorare all'interno della banca doveva presentare il certificato di battesimo e ricevere un attestato di fede da parte della parrocchia di appartenenza.
Non era quindi una banca di tutti, i depositanti erano per lo più esponenti illustri dell'aristocrazia milanese e le diocesi lombarde. Nei primi anni sessant'anni di attività, l'istituto fu amministrato con una certa parsimonia e non diede mai modo di far parlare di sè, fino a quando al timone non sopraggiunse Roberto Calvi, figlio di un alto dirigente della Banca Commerciale Italiana.
Era il 1971 e da quel momento il Banco Ambrosiano cambiò fisionomia. Quattro anni più tardi, Calvi fu nominato Presidente e iniziò a creare una serie di società off-shore siti in paradisi fiscali attraverso cui faceva transitare operazioni finanziarie losche, che coinvolgevano istituzioni come la criminalità organizzata, la massoneria e lo IOR, che era la banca del Vaticano.
Crac Banco Ambrosiano: l'agonia di Roberto Calvi
Il primo botto sul Banco Ambrosiano si udì il 13 novembre 1977 allorché comunicati di stampa denunciavano alcuni fatti poco leciti che erano stati compiuti dall'istituto. La mano dalla quale arrivò la soffiata era quella di Michele Sindona, finanziere siciliano che fu implicato nei più grandi scandali che riguardarono la finanza italiana di quegli anni.
Dietro tale gesto vi era una velata minaccia nei confronti di Roberto Calvi che aveva negato a Sindona la copertura finanziaria a tutte le sue operazioni speculative. Quanto bastò per mobilitare le ispezioni della Banca d'Italia che, dopo 7 mesi, rivelarono in effetti molte irregolarità, puntualmente segnalate alla magistratura.
La situazione cominciò a farsi pesante quando alla fine degli anni '70 si scoprì un primo buco finanziario nel bilancio bancario, che fu coperto da due finanziamenti, della BNL e dell' ENI, per 150 milioni di dollari. La cosa si ripeté nel 1980 quando ancora l'ENI andò in soccorso dell'istituto guidato da Roberto Calvi con un prestito di 50 milioni di dollari. Per ottenere quel denaro furono versati dei soldi a esponenti politici di spicco che agevolarono le operazioni.
La crisi finanziaria del Banco Ambrosiano però era andata fuori controllo e a un certo punto Roberto Calvi si ritrovò senza alcuna protezione, se non nella loggia massonica P2, che comunque faceva il doppio gioco. Travolto dagli scandali, il Presidente milanese si rivolse allo IOR per chiedere supporto finanziario, ma gli fu negato.
Rimasto ormai un uomo solo, Calvi fu arrestato il 21 maggio 1981 e condannato in primo grado. In attesa del processo d'appello però tornò in libertà e tentò un ultimo disperato salvataggio rivolgendosi agli amici massonici che pensava fossero al suo fianco.
L'ambiguità di tali personaggi non portò a nulla di buono e l'ennesimo diniego dello IOR decretò la fine del banchiere di Dio, come fu poi soprannominato. Roberto Calvi fu trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982.
Nel frattempo le finanze della banca imbarcavano acqua da tutte le parti e si era creata una voragine di 1.400 miliardi di vecchie lire. Il gap era frutto di un giro di denaro volto a far crescere artificialmente le azioni del Banco Ambrosiano. In soldoni, la banca emetteva finanziamenti verso società situate in paradisi fiscali come Lussemburgo, Panama e Liechtenstein, che erano controllate dal Vaticano. Le stesse utilizzavano questi soldi per comprare azioni dell'istituto di credito, indebitandosi per centinaia di milioni di dollari.
Questo bastò perché il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, sentito il Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, commissariasse la banca, che fu messa in liquidazione il 6 agosto 1982.
Crac Banco Ambrosiano: le condanne e la rinascita
Il processo per il crac del Banco Ambrosiano portò alla condanna dei massimi esponenti della loggia massonica P2, cioè Licio Gelli, Umberto Ortolani e Flavio Carboni. Fu incriminato per bancarotta fraudolenta anche l'arcivescovo Paul Marcinkus, che era alla guida dello IOR. Costui però non potè essere arrestato in quanto residente nello Stato del Vaticano, il quale non concesse l'estradizione.
Il Vaticano pagò come contributo volontario una piccola parte dell'enorme debito che le società off-shore avevano accumulato negli anni, ossia 250 milioni a fronte di 1,2 miliardi di dollari.
Dopo la liquidazione coatta amministrativa, il Banco Ambrosiano ripartì con la creazione di un nuovo istituto, chiamato proprio Nuovo Banco Ambrosiano, guidato da Giovanni Bazoli. La banca ex-novo si fece carico di tutti i debiti, le perdite e i cespiti pregressi, riaprendo gli sportelli con un nuovo assetto societario. Cambiarono anche il logo e le insegne. Tutto andò avanti fino al 1990 quando vi fu la fusione con la Banca Cattolica del Veneto, dando vita al Banco Ambrosiano Veneto.