Il quarto trimestre dell'anno è solitamente molto positivo per i mercati azionari americani. Il mese di ottobre però non è cominciato sotto i migliori auspici. Il sell off che si è visto soprattutto a inizio settimana denota una fase di profondo turbamento delle Borse, dopo un settembre nero come non si vedeva da tempo.
È pur vero che in genere ogni qualvolta che il mese di settembre fa registrare cali sostanziali, anche quello successivo segue la scia. Stavolta però c'è qualcosa di più a indicare come l'euforia che ha accompagnato i mercati per un periodo di tempo molto lungo possa essere giunta all'esaurimento.
Wall Street: perché investitori stan vendono azioni a ottobre
I mercati azionari non crescono all'infinito, anche quando in corso vi è un trend come questo, che dura da oltre 10 anni. Se possiamo considerare lo shock da Covid-19 della primavera del 2020 una parentesi eccezionale, è possibile dire che questo forse è il momento per una correzione almeno del 10%.
Questa potrebbe essere la prima ragione per cui gli investitori anche a inizio ottobre hanno continuato a vendere. Ricordiamo che da mesi i principali indici americani si trovano a ridosso dei massimi storici che, prima della debacle del mese scorso, aggiornavano sistematicamente. Dopotutto l'S&P 500 è arretrato appena del 5% dal top del 6 settembre di 4.549 punti.
Le vendite però non sono giustificate solamente da un calo fisiologico degli indici, conseguente magari a una semplice presa di profitto. In realtà gli investitori esprimono molta preoccupazione per le dinamiche inflazionistiche. La carenza di materie prime ha fatto impennare i costi, che inevitabilmente finiscono per intaccare i profitti delle società quotate.
Quanto uscirà dalle risultanze del trimestre appena trascorso presumibilmente non farà felici gli operatori di mercato. Le attese di utili in calo fanno rimodulare le valutazioni sulle quotazioni azionarie, che in questo momento presentano multipli che vanno al di là dei fondamentali.
L'inflazione rischia di colpire al cuore l'economia anche attraverso il fattore debito. Per tanti anni famiglie e imprese sono state sorrette dal denaro distribuito con eccessiva generosità dalla Fed e dal mantenimento dell'istituto di tassi d'interesse estremamente bassi. La logica conseguenza è che l'indebitamento si è accresciuto notevolmente, con il rischio di gonfiare una bolla che la crescita dei prezzi potrà fare scoppiare da un momento all'altro.
FED: intervenire o non intervenire, questo è il dilemma
Da qui le notti insonni di Jerome Powell, combattuto tra intervenire tempestivamente per raffreddare l'economia ed evitare che una stretta monetaria possa provocare uno shock nei mercati. Alla fine però il tapering sarà inevitabile e nelle prossime riunioni della Banca Centrale verranno date indicazioni più precise. Il mercato sta scontando tutto questo e la risalita dei rendimenti obbligazionari è un segnale eloquente. Con tassi più alti le quotazioni azionarie si abbassano, soprattutto riguardo alcuni titoli come quelli tecnologici.
Gli investitori in particolare percepiscono in questo momento che una curva dei tassi che cresce non è sintomo di un'economia in salute, ma la conseguenza di un'agitazione per l'arrivo di provvedimenti estremi atti a impedire che la situazione degeneri. Giocoforza l'atteggiamento che ne consegue non può essere che quello di avversione al rischio, ponendosi in una posizione difensiva.