Due giorni fa la Reserve Bank of New Zealand ha alzato il tasso benchmark di 50 punti base. La mossa, che ha portato il costo del denaro dal 4,75 al 5,25%, ha sorpreso il mercato, che si aspettava un incremento più prudente e pari a +25 punti base.
Nel 2022 i prezzi al consumo hanno evidenziato un balzo del 7,2% e negli ultimi tre mesi dell’anno il Prodotto interno lordo neozelandese è sceso dello 0,6%.
La RBNZ ha evidenziato come l’inflazione sia ancora “troppo alta e persistente” e rilevato che i recenti eventi che hanno colpito il Paese hanno finito per mettere ulteriore pressione sui prezzi al consumo. A metà febbraio, le inondazioni che hanno colpito la Nuova Zelanda hanno costretto l’esecutivo a dichiarare lo stato di emergenza (finora era accaduto solo due volte).
Secondo Abhijit Surya, economista di Capital Economics, quella presa dalla RBNZ rappresenta una decisione sorprendentemente “hawkish” che finirà per spedire l'economia in recessione. "Sulla base del fatto che la probabile flessione del PIL genererà una rapida disinflazione, pensiamo ancora che i tagli dei tassi saranno presi in considerazione prima della fine dell'anno".
“L’incremento maggiore delle stime messo in campo dalla RBNZ -hanno rilevato gli analisti di Westpac - è legato alla volontà di spingere velocemente il tasso di riferimento verso il target. Ci attendiamo un nuovo rialzo da 25 punti base al 5,5% nel meeting di maggio, anche se esiste la possibilità di una stretta più consistente”.
Focus sulle non-farm payrolls
La decisione della RBNZ sottolinea la crescente spaccatura negli approcci delle banche centrali globali: da un lato c’è chi continua ad alzare i tassi (come appunto la RNBZ, ma anche la BoE e la Fed) e chi, come ad esempio la Bank of Canada e la Reserve Bank of Australia, è già entrata in pausa per capire le ripercussioni delle strette messe in campo finora.
Per quanto riguarda la Banca centrale statunitense, molto dipenderà dai dati relativi l’andamento del mercato del lavoro: per il mese di marzo, il saldo delle buste paga nei settori non agricoli è stimato in aumento di 236 mila unità mentre il tasso di disoccupazione dovrebbe confermarsi al 3,6%. Al momento, come emerge dal CME FedWatch Tool, il consenso degli analisti è quasi perfettamente bilanciato tra chi punta, nel meeting del 3 maggio, su una pausa e chi ritiene che assisteremo ad una nuova stretta da 25pb.
Molto dipenderà dai dati su payrolls e tasso di disoccupazione: nel caso di numeri migliori delle stime potremmo assistere ad un rafforzamento del dollaro mentre indicazioni peggiori del previsto permetterebbero all’istituto guidato da Jerome Powell di prendersi una pausa (perché un mercato del lavoro meno forte riduce anche le spinte rialziste sulle retribuzioni). Le ultime indicazioni arrivate dal mercato del lavoro, dalla stima ADP e dalle nuove richieste di sussidio, fanno propendere per quest’ultima ipotesi.
NZD/USD: è il momento di puntare al rialzo
Bucato al ribasso tra metà settembre e metà novembre 2022, quando l’incrocio NZD/USD è andato a testare quota 0,56$, il canale laterale compreso tra 0,65 e 0,61 dollari nei primi giorni di marzo è stato testato nella parte bassa innescando una ripresa dei corsi che ha spinto il cambio agli attuali 0,624 USD.
L’effetto rialzista riconducibile alla decisione della RBNZ è stato limitato dalla trendline ottenuta dai top registrati tra fine marzo ed inizio aprile 2022 e questo ostacolo potrebbe rispedire i corsi al test della media mobile a 200 giorni, attualmente a 0,6160.
Da quest’area potremmo mettere in campo un’operazione rialzista con target a 0,629 ed a 0,639$ e stop loss che potrebbe essere fissato a 0,602. In un’ottica più di lungo periodo, si potrebbe anche puntare su un ritorno in area 0,65.
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