Nelle ultime settimane i membri dei board delle principali banche centrali hanno fatto a gara nel mandare segnali “hawkish” agli operatori. Dopo le serie di strette sui tassi che hanno caratterizzato il 2022, il clima di “liberi tutti” che ha guidato questa prima parte di 2023 ha spinto i rappresentanti delle banche centrali a cercare di calmare l’entusiasmo innescato dalla tenuta delle maggiori economie e dal rallentamento della dinamica inflazionistica.
Inoltre, va tenuto presente che atteggiamenti da “falco” sono funzionali al rafforzamento della valuta che, dopo il ritorno in grande stile dell’inflazione, rappresenta un argine di sicuro valore nei confronti dell’avanzata dei prezzi al consumo (equivale in pratica a non importare nuova inflazione).
Al di là di quelle che possono essere le posizioni espresse dai singoli banchieri centrali, che negli ultimi anni non hanno brillato né per credibilità né sul fronte della lungimiranza, gli operatori hanno imparato a fidarsi più delle indicazioni che arrivano dai dati macroeconomici.
Regno Unito: indicazioni positive dagli indici PMI
Un caso particolarmente interessante è rappresentato dal Regno Unito, dove ad un’inflazione a due cifre (10,1% annuo a gennaio) fa da contraltare un’economia in sostanziale salute.
Qualche giorno fa buone nuove sono arrivate dagli indici PMI, il dato “composito” si è riportato in territorio positivo balzando da 48,5 a 53 punti, la scorsa settimana era stata la volta delle vendite al dettaglio, che attese in calo dello 0,3% mensile hanno evidenziato un incremento dello 0,5%, e prima ancora il tasso di disoccupazione si era confermato ad un “fisiologico” 3,7% (con le richieste di sussidio in calo a sorpresa).
Si tratta quindi di uno scenario ideale per permettere alla Bank of England di muoversi con un certo grado di libertà in occasione del meeting del prossimo 23 marzo. Se la Federal Reserve con tutta probabilità il giorno prima alzerà i tassi di altri 25 punti base, l’istituto guidato da Andrew Bailey è probabile che vari una stretta da 50 punti base portando il tasso benchmark d’Oltremanica al 4,5%. Andiamo a vedere come il rafforzamento del pound potrebbe essere sfruttato nel cambio con il dollaro.
GBP/USD stimato al rialzo
Archiviati i nuovi minimi storici messi a segno a fine settembre 2022 sotto 1,04 e recuperato parte del terreno perso, il cambio GBP/USD sembrerebbe pronto per nuovi rialzi. Dopo esser riuscito a riportarsi sopra le maggiori medie mobili nel mese di novembre 2022, ed aver testato per due volte la trendline ottenuta dai top toccati a fine agosto e nella seconda metà di novembre 2020, il cambio è entrato in una fase laterale caratterizzata dal supporto fissato a 1,195 e dalla resistenza rappresentata dagli 1,24 dollari.
Attualmente nella parte bassa di questo canale, anche alla luce di un indice di forza relativa che si muove con decisione in direzione ipervenduto e del sostegno garantito dalla media mobile a 200 periodi, ci attendiamo una ripresa dei corsi in direzione del livello superiore.
In un’ottica di breve termine, si potrebbe puntare ad un ingresso di poco sotto i livelli attuali da 1,1950 con target fissato al di sotto della trendline citata a 1,2350. In questo caso uno stop potrebbe essere fissato a 1,1910 $. Chi invece volesse puntare su orizzonti temporali più estesi, i target potrebbero essere posti sui top di giugno 2022 a 1,245 ed a 1,259 dollari.
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