La Bank of Japan non cambia il suo atteggiamento ultra espansivo nei confronti di una politica monetaria che continua a zavorrare lo yen, soprattutto contro quelle valute che possono sfruttare le decisioni hawkish delle proprie Banche centrali. La settimana scorsa il meeting di due giorni della BoJ si è concluso con un nulla di fatto.
Nessuna intenzione di alzare i tassi e mettere in discussione il controllo della curva dei rendimenti ha detto Haruhiko Kuroda, Governatore che a marzo verrà sostituito. Un accenno anche all’aspetto della debolezza recente dello yen è emerso dalla conferenza stampa: il Presidente dell'istituto ha detto che per fermare la debolezza di una valuta servirebbero rialzi nel costo del denaro consistenti e questo danneggerebbe l’economia.
Giappone: l'inflazione non spaventa ancora la BoJ
I problemi maggiori per il momento si registrano sulla bilancia commerciale. L’export a giugno è salito del 19,4%, ma l’import è ha segnato il +46,1%, con un deficit che rappresenta un fenomeno nuovo per l’universo economico nipponico. Il surplus si registra ancora a livello di partite correnti, vista la natura di creditore globale storico che vanta il Giappone, ma i margini si stanno assottigliando. L'OCSE prevede un avanzo di bilancia corrente sul PIL dell'1,5% nel 2022 e dell'1,2% nel 2023. Un drastico ridimensionamento rispetto al 2,8% del 2021.
L’inflazione di giugno ha mostrato ancora una volta una faccia meno cattiva rispetto al mondo occidentale. I prezzi al consumo sono cresciuti del 2,4% nella versione “headline” e del 2,2% in quella core. La BoJ non sembra essere intimorita preferendo ancora dare spazio alla crescita economica piuttosto che al contrasto dell’inflazione.
USD/JPY: analisi tecnica e strategie operative
Dal punto di vista dell’analisi tecnica, USD/JPY continua a strizzare l’occhio alla zona di 140. L’aspetto forse più interessante viene da alcuni indicatore settimanali che dimostrano come la forza del trend rialzista è elevatissima. L’ADX in versione weekly ha superato infatti quota 60, unsenza tuttavia mostrare ancora divergenze degne di nota.
Dobbiamo tornare indietro al 2013 (il tapering della Fed era in quel momento il tema dominante) per avere un ADX sopra 50 punti, l’asticella che tipicamente dovrebbe contraddistinguere le fasi di tendenza particolarmente surriscaldate.
Dopo qualche mese di lateralità, il cambio trovò la forza di salire di altre 20 figure con l'indicatore che sprofondava ai livelli più bassi del secolo. Continuo a ribadire che, consolidamento a parte, USD/JPY è destinato a vette superiori e più nello specifico a quota 150. Qui il rialzo 2011-2015 sarebbe eguagliato in ampiezza da quello partito nel 2020 e qui troveremmo i massimi del 1998.