Negli ultimi mesi Bitcoin viene criticato per l’enorme quantità di energia che serve al protocollo per funzionare e per minare la criptovaluta. Secondo i ricercatori di Cambridge il consumo è all’incirca pari a 120mila Terawattora all'anno, tanto quanto Argentina o i Paesi Bassi e la tendenza è destinato a continuare se lo stesso farà anche il prezzo. Cerchiamo quindi di capire perché il consumo di energia è fondamentale per la sua sicurezza del protocollo e perché è strettamente collegato con le quotazioni.
Bitcoin: a cosa serve il consumo di energia
Come è ormai noto Bitcoin per funzionare necessita di una quantità indefinita di computer distribuiti in grado di mettere a disposizione la propria potenza di calcolo per convalidare le transazioni degli utenti. In cambio del consumo di energia e di risorse di calcolo il protocollo Bitcoin premia i minatori con monete nuove di zecca.
La politica monetaria della criptovaluta, attraverso il meccanismo dell’Halving, permetterà ai minatori di creare al massimo 21 milioni di Bitcoin rendendo i BTC l’unico asset realmente finito in termini assoluti al mondo. Il consumo di energia da parte del protocollo deriva quindi dall’utilizzo ormai specializzato di computer in grado di risolvere un particolare “puzzle” per certificare le transazioni svolte nel network.
La specializzazione del mining ha portato alla creazione di edifici e capannoni messi a disposizione solo ed esclusivamente a questa attività, portando il consumo medio di energia in alcuni particolari aree del mondo ad aumentare notevolmente.
Bitcoin: la sicurezza del protocollo
Come è facile immaginare l’attività di mining è vitale per la criptovaluta che fa del Proof of Work il suo algoritmo di consenso distribuito. Oltre che per il funzionamento di base di layer in cui avvengono le transazioni, il consumo di energia è fondamentale per un altro motivo che a molte persone sfugge. L’energia spesa da Bitcoin è necessaria ai fini di rendere la criptovaluta sicura da attacchi informatici e da manomissione dei dati all’interno del protocollo.
Uno degli attacchi informatici che vengono più associati al mondo delle criptovalute è il cosiddetto "attacco del 51%". Un ipotetico hacker, per modificare i dati a piacimento all’interno del protocollo, dovrebbe possedere almeno il 51% della potenzia computazionale totale dello stesso.
Dato che potenza computazionale equivale energia spesa dalle macchine, più quest’ultima è alta e più la rete è sicura. Come evidenziato da Nick Szabo, creatore di Bitgold, "Il consumo prolifico di risorse e la scarsa scalabilità computazionale sbloccano la sicurezza necessaria per un'integrità indipendente, globale e automatizzata".
Bitcoin: il driver positivo per il prezzo
Bitcoin è stato espressamente progettato per rendere sempre più competitivo il mining, che ora più che mai sta attirando molti capitali. Analogamente a ciò che succede con l’oro fisico e la sua estrazione, più cresce il prezzo del bene e più i minatori sono incentivati ad investire nell’estrazione. Nel caso di Bitcoin quello che succede è che la salita di valore della criptovaluta fino a quasi 60.000 dollari ha aumentato anche l’interesse al mining.
In questo senso il consumo di energia è sicuramente un driver positivo per la valuta digitale ed è un segnale di interesse crescente nell’asset virtuale. Altro punto di fondamentale importanza è il fatto che per la prima volta nella storia esiste uno strumento in cui l’estrazione/costruzione del bene non dipende dalle risorse spese dagli investitori ma è prestabilito da un algoritmo. L’aumento di energia presuppone un aumento di interesse ma non influenza in nessun modo l'offerta circolante e le leggi che la regolano.
Bitcoin, le banche e l'estrazione dell'oro
Come detto in precedenza il dispendio di energia da parte dei minatori di Bitcoin è decisamente alto, ma se poi si va a paragonare lo stesso con il sistema bancario o l’estrazione di oro le cose cambiano notevolmente.
Come sottolineato in una ricerca di Ark Invest, “Le banche tradizionali consumano 2,34 miliardi di gigajoule (GJ) all'anno e l'estrazione dell'oro 500 milioni di GJ, mentre Bitcoin consuma 184 milioni di GJ”. Il consumo di energia da parte del protocollo Bitcoin è di valenza completamente opposta rispetto al normale utilizzo e concezione della stessa. Per la prima volta nella storia possiamo tramutare energia in “denaro” e allo stesso tempo rendere l’asset più sicuro.
Il mining di Bitcoin non è quindi spreco di energia ma permette al network di sopravvivere, di progredire e di fornire decentralizzazione. Più il prezzo sale, più aumenterà il consumo di energia e la sua affidabilità come protocollo. Più cresce il consumo, più crescerà l’interesse nella criptovaluta. Il problema non è quanta energia consuma Bitcoin ma quanto accettiamo l’utilizzo di questa risorsa per quel fine.