Dove finirà il Bitcoin? Una domanda che tutti gli investitori privati e istituzionali si stanno ponendo in questo momento, visto che le oscillazioni pazze in questo ultimo anno non danno alcuna certezza. La criptovaluta è tornata nei paraggi di 30.000 dollari dopo aver scavalcato la soglia dei 40.000 dollari in questo inizio del 2021.
Adesso, smorzatasi un pò l'euforia, avanza la paura fomentata da alcuni analisti che nel pieno di una bolla si assisterà a breve a un crollo che riporta la principale moneta digitale a valere pochi centesimi. Di contro, una nuova ondata di acquisti riaccenderebbe quell'entusiasmo in questo momento un pò ammaccato, che riporterebbe i compratori alla frenesia degli acquisti.
Intanto però c'è un'altra questione che viene sottovalutata dagli operatori, ovvero quanto l'energia consumata per estrarre Bitcoin sia pulita o meno. Di conseguenza quanto questo si concilia con i piani di transizione energetica che le istituzioni di tutto il Mondo hanno messo in atto per garantire quel cambiamento climatico auspicato da tutti.
Bitcoin: un allarme ecologico
Emettere Bitcoin tramite la potenza di calcolo significa produrre una quantità di carbonio paragonabile a quella emessa dalla Nuova Zelanda, ovverosia circa 37 milioni di tonnellate l'anno. Una sola transazione in Bitcoin genera la stessa estrazione di anidride carbonica di oltre 700 mila passaggi di una carta di credito. Non solo, i numeri peggiorano nel tempo. Nel senso che, se nel 2017 il consumo della moneta digitale era di 9,6 terawattora all'anno, oggi è di 77,8 terawattora.
Insomma un problema ambientale esiste e presto i Governi di tutto il Mondo dovranno intervenire se vogliono essere coerenti con l'attuazione di una svolta verde. Si potrebbe optare per una tassazione sul carbonio più inasprita per costringere i Bitcoiners a modificare gli algoritmi.
L'Europa in questo sembra decisa a prendere questa direzione. In Svezia ad esempio è imposta una tassa CO2 di più di 100 euro a tonnellata, nel resto dell'Unione la media è di circa 34 euro. Il problema è che quasi il 50% della capacità estrattiva di Bitcoin arriva dalla Cina, dove l'energia fornita da centrali a carbone è più economica e meno tassata.
Ovviamente se gli Stati effettuassero una presa di posizione così marcata, il prezzo della criptomoneta subirebbe inevitabilmente qualche scossone molto grosso, almeno fin quando le modifiche strutturali non porterebbero a un nuovo equilibrio.
Bitcoin: l'esempio di GameStop è un segnale positivo
Un attestato di fiducia verso il Bitcoin arriva da Anthony Scaramucci, strategist di SkyBridge Bitcoin Fund LP. Secondo l'esperto, la corsa sfrenata delle azioni GameStop è la dimostrazione del fatto che il decentramento finanziario sta facendo breccia nelle scelte d'investimento dei trader.
Bitcoin infatti non è sostenuta da un'Autorità centrale ma da un registro digitale distribuito su una rete di computer. E questo certamente serve ad alimentare la mania speculativa da parte dei trader che sta prendendo sempre più forma in questi anni, dove i rendimenti tradizionali sono poco appaganti.
Oggi da molti la criptovaluta viene vista come una sorta di oro digitale, che ha la stessa funzione del metallo giallo di proteggere dal rischio che una crescita repentina dell'inflazione possa deturpare i guadagni in conto capitale. Attualmente SkyBridge ha un'esposizione complessiva in Bitcoin di circa 385 milioni di dollari.