Con lo sbarco di Coinbase a Wall Street il mondo delle criptovalute continua ad essere sempre di più sotto la lente di trader e investitori. In particolare si sono riaccesi i riflettori sulla regina delle criptovalute, il Bitcoin, che ha di recente aggiornato nuovi massimi storici sopra i 64.000 dollari.
Nel bel mezzo dell’euforia sul comparto criptovalutario, molti investitori e crypto-trader cominciano a farsi delle domande sulle valute digitali che hanno in portafoglio. I detentori di criptovalute forse non mettono in conto un aspetto che è meglio non trascurare: pagare le tasse.
Da quando le ambizioni di Satoshi Nakamoto sono diventate realtà, sopratutto quest’anno che il Bitcoin ha raggiunto cifre veramente importanti e impensabili fino a qualche tempo fa, è diventato d'obbligo aggiornarsi sulle normative fiscali attualmente in vigore. Non solo "facili" guadagni quindi.
Ma dal punto di vista fiscale, quale trattamento spetta alla famosa criptovaluta? Si pagano le tasse su Bitcoin in Italia? Attenzione ai controlli dell’Agenzia delle Entrate e alla dichiarazione dei redditi. Vediamo tutto quello che c’è da sapere secondo le norme attualmente in vigore.
Bitcoin: come funziona la tassazione della criptovaluta
Il Bitcoin è considerato dal Fisco come una normale valuta internazionale, come l’euro il dollaro USA o la Sterlina, poco importa che sia “virtuale”. Di conseguenza è soggetto alla consueta tassazione riservata alle rendite finanziarie, con le plusvalenze che sono decurtate del 26% di capital gain.
Il Bitcoin non è però sempre tracciabile, dunque applicare la tassazione non è un processo che avviene in automatico. Si tratta, infatti, di uno strumento finanziario nuovo e non tracciabile con i soliti sistemi fiscali poiché viene scambiato tramite blockchain, più difficilmente verificabile dall'erario. Vediamo perché.
Il Bitcoin è difficilmente tracciabile
I controlli del Fisco sono molto complicati se il Bitcoin non viene scambiato attraverso un istituto di credito tradizionale. La maggior parte delle transazioni avviene infatti attraverso piattaforme di scambio, come Coinbase, Kraken, Binance ecc., ma anche alcune nuove banche fintech, per esempio Revolut per citarne una, consentono di acquistare critpomonete.
Se gli scambi sono gestiti da una banca tradizionale, allora in caso di plusvalenze sarà lo stesso istituto di credito ad applicare il capital gain, pari al 26%, agendo da sostituto di imposta. Diversamente, se gli scambi avvengono al di fuori del canale bancario, come solitamente accade, allora è difficile tenerne traccia. Sarà dunque onere dei singoli soggeti dichiarare al Fisco l’eventuale detenzione di criptovalute.
Bitcoin: devono essere dichiarati al fisco?
I Bitcoin devono essere dichiarati al Fisco? Al momento manca una normativa specifica ma è bene sapere che devono essere dichiarati. Almeno secondo una recente sentenza del Tar del Lazio, la numero 1077 del 27 gennaio 2020, che considera la criptovaluta alla stregua di qualsiasi altro investimento di tipo finanziario.
La legge italiana considera gli investimenti in Bitcoin come redditi finanziari prodotti all’estero e li considera investimenti al pari delle altre valute straniere. Nel 2018 l’Agenzia delle Entrate, con un parere a fronte dell’interpello n. 956-39/2018, aveva affrontato il tema dell’applicabilità degli obblighi imposti dalla normativa sul monitoraggio fiscale dei capitali e degli obblighi legati alle plusvalenze realizzate tramite valute digitali.
Bitcoin: l’obbligo in dichiarazione dei redditi
L’Agenzia delle Entrate ha confermato l’obbligo di compilazione del quadro RW del Modello Unico Persone Fisiche, nella dichiarazione dei redditi, assimilando le criptovalute, sotto il profilo fiscale, alle valute estere.
L’obbligo di indicare le criptovalute nel quadro RW è stato affermato per la prima volta dall’Agenzia delle entrate a partire dal periodo d’imposta 2018, cioè nelle istruzioni relative alla dichiarazione dei redditi che doveva essere presentata nel 2019 per il periodo d’imposta 2018, e pertanto per le annualità precedenti vi sono ottime ragioni per sostenere che non sono irrogabili sanzioni.
Dichiarare l’ammontare dei Bitcoin posseduti al Fisco non comporta alcuna spesa. Ma se si comunica il possesso ne consegue che le criptovalute saranno sottoposte alla tassazione ordinaria degli strumenti finanziari, con aliquota pari al 26%.
Bitcoin: controvalore e giacenza media
Attenzione, bisogna però fare una precisazione. Mentre le plusvalenze incassate a seguito di “cessione a termine” (ad esempio i contratti derivati come i future) sono tassate indipendentemente dagli importi interessati, quelle derivanti da “cessioni a pronti” sono imponibili soltanto qualora la valuta scambiata provenga da portafogli elettronici la cui giacenza media, espressa in euro, superi un controvalore di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, secondo l’articolo 67, comma 1-ter, Tuir. La tassa sulle eventuali plusvalenze, pari al 26%, sarà applicata soltanto nel momento in cui verrà disposta la vendita.
Bitcoin: il paradosso Exchange vs Wallet
Il paradosso è che la tassazione potrebbe anche dipendere da dove sono custodite le criptovalute. Non è ancora chiaro se la tassazione vada applicata anche in caso di prelievi dai wallet e quale definizione di prelievo assuma rilevanza.
Non è chiaro se debbano essere tassate le operazioni cripto-to-cripto in cui il guadagno non si tramuta in valuta avente corso legale. Secondo alcuni, poi, non tutte le tipologie di wallet avrebbero la medesima rilevanza ai fini fiscali. Il mondo cripto è in continua evoluzione e l’erario, per il momento, pare che non abbia del tutto le idee chiare su come affrontare il tema.