La corsa di Wall Street nella prima metà del 2021 ha avuto qualcosa di stupefacente, dal momento che la pandemia è ancora presente tra noi e l'economia americana risulta convalescente, soprattutto a livello occupazionale.
I dati sul lavoro rilasciati venerdì, ad esempio, testimoniano una situazione in chiaroscuro. I nuovi posti di lavoro creati a giugno hanno superato le aspettative con 850 mila occupati in più su 700 mila attesi. Tuttavia, il tasso di disoccupazione è stato peggiore, se paragonato a quanto stimato dal consensus, dal momento che si è attestato al 5,9%, due punti base in più delle attese. La Borsa di New York si mantiene ben intonata e continua ad aggiornare i top di sempre.
Wall Street: 3 fattori che possono far crollare le azioni
Nel secondo semestre dell'anno le cose potrebbero cambiare. Ad affermarlo è Nick Colas, fondatore insieme a Jessica Rabe di DataTrek, società di ricerca dei mercati finanziari. Secondo l'esperto, sono 3 i fattori che metterebbero a repentaglio il rally dei mercati azionari, come di seguito illustrato:
Shock del prezzo del petrolio
L'oro nero quest'anno ha realizzato una performance eccezionale. Il Brent è cresciuto di circa il 47% da inizio 2021 e attualmente viaggia sui massimi intorno a 76 dollari, livello che non vedeva da aprile 2019. Ancora meglio ha fatto il WTI, che ha guadagnato il 56%, raggiungendo nel mese scorso il valore massimo di 76,2 dollari al barile, top dal 2018.
Il problema adesso attiene al comportamento dei Paesi OPEC+ e a quanto essi saranno in grado di rispettare gli accordi in relazione all'aumento dell'offerta. Se così non dovesse essere, potrebbe accadere uno shock opposto rispetto a quello della primavera del 2020, quando le faide interne al cartello tra Russia e Arabia Saudita fecero sprofondare il prezzo del greggio a livelli mai visti.
Stavolta ci potrebbe essere un tale aumento dei prezzi del petrolio da innescare meccanismi inflattivi difficili da contenere e che potrebbero riflettersi in maniera esiziale sull'economia, contrastandone la ripresa.
La politica della Fed
Il comportamento della Federal Reserve si aggancia al primo aspetto. Se il petrolio corre troppo, la Banca centrale si troverà costretta a intervenire per frenare il galoppo dell'inflazione. Questo significa che la politica monetaria non potrà più essere accomodante come prima e si dovrà ricorrere a restrizioni monetarie, tagliando soprattutto il costo del denaro.
Secondo Colas, la comunicazione in tal caso diventa decisiva perché, se il mercato percepisce che l'istituto guidato da Jerome Powell diventa troppo aggressivo, a quel punto potrebbe reagire male. Un precedente al riguardo non è molto rassicurante: a fine 2018 la FED alzò i tassi e nei 3 mesi successivi l'indice S&P 500 perse il 18%.
La crescita degli utili
Le società che compongono il principale indice americano dovrebbero vedere un rallentamento degli utili nel 2022 all'11%, livello ben inferiore in confronto al 36% del 2021. Questo in considerazione del fatto che l'anno prossimo la ripresa economica si sarà per forza di cose ridimensionata e si assisterà a una normalizzazione dell'economia.
Il problema di fondo è che le azioni sono scambiate a 21,5 volte gli utili previsti per i prossimi 12 mesi e questo significa che i multipli sono elevati. Di conseguenza, se vi sarà un adeguamento delle quotazioni a quelle che sono stime riflettenti una crescita più bassa, il mercato potrebbe cominciare a vendere le azioni.