-
Le obbligazioni societarie sono a rischio declassamento per effetto del Covid-19, fatto che mette a rischio la salvaguardia del patrimonio;
-
La FED potrebbe acquistare fino a 4.900 miliardi di dollari di altri bond, ma secondo alcuni esperti non sarà sufficiente a evitare il downgrade;
-
Le banche italiane brillano per solidità grazie agli sforzi compiuti in passato e molti investitori riducono il premio al rischio delle obbligazioni
Il Coronavirus ha tramortito il mercato obbligazionario. L'avvento di tale tragedia planetaria ha diffuso l'incertezza tra gli investitori, istillando la paura che declassamenti e default possano essere dietro l'angolo. Di conseguenza la pressione sugli spread e sul rendimento dei bond societari è aumentata durante la fase più acuta del virus, allentandosi leggermente solo dopo che il commercio globale ha visto una ripresa.
Il lieve miglioramento del quadro generale di mercato è stato favorito dalle decisioni di sostenere il patrimonio attraverso il taglio dei dividendi e la rinuncia al buyback azionario. Tuttavia i rischi che si possa tornare ad una situazione come quella di inizio 2020 sono sempre vivi, fatto che potrebbe portare a una nuova serie di downgrade sui bond corporate da parte delle agenzie di rating.
Obbligazioni: basteranno le Banche centrali a evitare il downgrade?
L'atteggiamento delle agenzie di rating sarà determinante per orientare i grandi investitori istituzionali a comprare bond delle varie società quotate, esattamente come accadde durante la grande crisi finanziaria del 2009, quando l'esplosione dei mutui subprime affossò il merito creditizio in particolar modo degli istituti di credito. Sotto certi aspetti la situazione è anche peggiore oggi, quantomeno in termini di downgrade.
Nel 2009 ci furono 108 miliardi di dollari di bond che finirono nella categoria di investimenti ad alto rischio dopo il fallimento della Lehman Brothers. Quest'anno il Covid-19 ha spazzato via nel solo primo trimestre 151 miliardi di titoli obbligazionari che godevano del ruolo di investment grade e che si sono ritrovati in quello di "fallen angels". Non è terminato l'anno e i bond ad alto rendimento hanno raggiunto quota 189 miliardi, con la cifra che verosimilmente sarà destinata ad aumentare.
Negli Stati Uniti a fare da scudo in questi mesi c'è stata la FED che ha comprato quanto poteva, compresi i titoli spazzatura che invece la BCE non ha per il momento considerato nei piani di acquisto. L'istituto guidato da Jerome Powell non si fermerà qui. Secondo alcuni analisti la Banca centrale USA ha una potenza di fuoco residua di 4.900 miliardi che saranno distribuiti tra obbligazioni investment grade, high yield, junk ed ETF.
Se da un lato ciò aiuta ad ammorbidire la pressione sul premio al rischio dall'altro però non risolve il problema della solvibilità delle aziende, soprattutto se le attività economiche riaprissero a singhiozzo o con tempi incompatibili con una vera ripresa. Per questa ragione, a parere degli esperti, i rischi di fallimenti e downgrade sarebbero da non sottovalutare.
Obbligazioni: gli investitori guardano alle banche italiane
In questo quadro non troppo entusiasmante, gli investitori però guardano con interesse alle obbligazioni emesse dalle banche italiane, osservandole come un'opportunità d'investimento che potrebbe essere sfruttata. La maggiore fiducia verso istituti come Intesa Sanpaolo e UniCredit è dimostrata da alcune variabili che rappresentano il termometro del rischio, come ad esempio i credit default swap.
Assicurare il debito delle due maggiori banche italiane oggi costa la metà rispetto a marzo. Questo ha fatto abbassare notevolmente il rendimento richiesto dagli investitori per finanziare il debito. Basti pensare che nel 2016 Intesa Sanpaolo ha raccolto 1,25 miliardi di euro pagando una cedola per le obbligazioni Additional Tier 1 del 7%, mentre a febbraio del 2020 la stessa cedola è stata emessa al 3,75%.
Gli sforzi fatti negli anni per ridurre la quantità di crediti deteriorati presenti in bilancio sono stati premiati. Nel 2014 il rapporto tra non-performing loans e debito totale era del 16,5%. Nel 2019 tale rapporto si è abbassato al 6,7%. Allo stesso tempo è salito il Common Equity Tier 1, passando da poco più del 7% nel 2007 al 13,9% del 2019. A fare il resto ci hanno pensato le misure d'emergenza introdotte dal Governo italiano, dalla BCE e dall'Unione Europea.
Le operazioni di aggregazione attuate (vedi Intesa Sanpaolo-Ubi Banca) e future potrebbero consolidare un sistema che oggi è molto più forte rispetto al passato. Alcuni aspetti come il rischio Paese potrebbero rappresentare delle zone d'ombra visto che gli istituti di credito italiani detengono più di 440 miliardi di euro di titoli di Stato del Belpaese, ma per il momento non sembra che questa sia stata fonte di grandi preoccupazioni.