-
Domani la Commissione Europea elaborerà il piano per salvare i Paesi europei colpiti dalla pandemia, sulla base della proposta Macron-Merkel;
-
I Paesi del Nord Europa temono che il Recovery Fund possa inasprire il debito pubblico di Stati come l'Italia rendendolo insostenibile;
-
Un'analisi di Unicredit arriva alla conclusione che il nostro debito pubblico, essendo in gran parte in mano agli italiani, è sostenibile.
Spread BTP-Bund sotto 200 punti e Piazza Affari in verde nella giornata di oggi (+1,48%). Così l'Italia si prepara al delicatissimo verdetto di domani quando la Commissione Europea presenterà la proposta sul Recovery Fund. La sfida di Bruxelles sarà quella di conciliare la posizione franco-tedesca e quella degli inossidabili Paesi del Nord. L'asse Parigi-Berlino parteggia per la linea morbida: 500 miliardi a fondo perduto tramite l'emissione di Bond europei a tripla A, garantiti dagli Stati dell'Unione. Lo scopo è quello di sostenere i Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia, come l'Italia a cui andrebbero 120 miliardi. I Paesi dell'area Nord europea, con Olanda in testa, sono invece riluttanti a qualunque forma di condivisione del debito e optano per un prestito condizionato: nè più nè meno di come è fatto il funzionamento del MES secondo i rigidi criteri stabiliti dal trattato.
L'Italia come il Giappone: gran parte del debito è nazionale
La situazione non è scevra di tensioni e l'esito potrebbe essere tutt'altro che scontato. Perché il Recovery Fund prenda vita è necessario che ci sia il voto unanime di tutti e 27 i Paesi che fanno parte dell'Eurozona. Anche se alla fine verrà raggiunto un accordo, qualcuno teme che difficilmente il fondo sarà operativo prima del 2021. L'inghippo è sempre lo stesso: alcuni membri dell'Eurogruppo si preoccupano che Paesi come l'Italia possano cominciare a spendere allegramente al di là dell'emergenza, cosa ritenuta ancora più grave in un contesto in cui il debito italiano rischia di non essere più sostenibile.
Ma è proprio così? Uno studio degli analisti di Unicredit sembra smentire un tale incrollabile assunto. Gli esperti della seconda banca italiana prendono a riferimento il caso del Giappone. Il debito del Sol Levante ha raggiunto una cifra del 237% del PIL eppure non è insidiato dalle valutazioni delle agenzie di rating che mantengono un giudizio alto. Perché questo succede? Perché quasi tutti i Bond di Stato sono comprati dalla Bank of Japan e da risparmiatori giapponesi, giocoforza non vengono esposti alle fluttuazioni del mercato come altri titoli di Stato che sono messi alla mercé degli investitori stranieri.
La situazione italiana non è poi così diversa, sottolinea il capo economista di Unicredit, Erik Nielsen. Solo il 34% dei BTP italiani è in mano agli stranieri, il 66% è distribuito tra investitori privati italiani (49%) e Bankitalia (17%) che ha comprato titoli per conto della BCE nel piano del Quantitative Easing iniziato da Mario Draghi. E la cifra potrebbe anche aumentare se si considera che il PEPP in caso di necessità potrebbe essere allargato, come più volte hanno precisato Christine Lagarde e altri esponenti di spicco all'interno del Consiglio Direttivo dell'Eurotower. Questo perché, occorre ricordare, ogni acquisto di Bond dei Paesi dell'Eurogruppo viene effettuato per l'80% attraverso le Banche Centrali nazionali e solo per il 20% attingendo alle risorse della BCE.
Il debito italiano è quindi sostenibile?
Verrebbe da chiedersi: se due terzi dei nostri titoli sono in mani sicure perché preoccuparsi così tanto? Difficilmente i risparmiatori italiani e Bankitalia si metteranno a speculare in caso di turbolenze, mettendo a repentaglio la sostenibilità del debito e del Paese. In verità bisogna fare una precisazione. Del 49% dei titoli posseduti da investitori privati italiani, solo il 5% è nel portafoglio di famiglie e imprese. Il rimanente 44% è gestito da investitori istituzionali come fondi di investimento italiani, banche e assicurazioni. Questi, insieme agli investitori esteri, potrebbero ovviamente condizionare l'andamento dei nostri titoli di Stato sul mercato in caso di tempesta finanziaria.
Unicredit però ritiene che nel suo complesso il problema è ingigantito. Gli italiani hanno un risparmio privato di 4.400 miliardi di euro che è in gran parte tenuto in conto corrente e per un terzo investito in azioni, obbligazioni e fondi comuni. Basterebbe un'opera di convincimento che allontani lo spauracchio della sostenibilità per riversare gran parte delle risorse investite sui nostri titoli. Emblematica è la dimostrazione data con il BTP Italia dove tra risparmiatori e investitori istituzionali sono entrate nelle casse pubbliche 22,3 miliardi di euro. Risultato che è andato al di là delle più trionfalistiche previsioni.