È riuscito a resistere a due guerre mondiali, persino all'avvento del trading automatico che ha reso altre forme di contrattazione che non fossero quelle telematiche, obsolete e insensate. Ma non ce la farà a sopravvivere all'impeto del Coronavirus. Stiamo parlando del trading floor del London Metal Exchange, conosciuto come il Ring.
LME ha preso la decisione: l'iconico anello che è in vita dal 1877 chiuderà definitivamente battenti. Così uno dei pochi mercati alle grida rimasti legati al passato abbandonerà per sempre le scene, non senza portarsi dietro uno strascico malinconico negli operatori attivi sulla piattaforma.
Chiusura del Ring: un dibattito ancora aperto
Da quando era stato chiuso a marzo, durante la prima ondata del Covid-19, con le contrattazioni si erano spostate online, si era scatenato un dibattito circa l'opportunità o meno di riaprire i cancelli del Ring una volta passata la pandemia.
Probabilmente si pensava che questa tragedia secolare non sarebbe durata così a lungo e molti auspicavano un ritorno alla normalità già dopo dell'estate. I sostenitori del mercato fisico hanno portato avanti la tesi che l'industria mondiale dei metalli oggi è servita ancora egregiamente nonostante il numero di operatori all'interno del Ring sia diminuito nel tempo.
Addirittura alcuni ritengono che questo sia l'unico modo per stabilire i prezzi nel sistema complesso dei contratti che avvengono sul London Metal Exchange. Coloro che invece optano per la chiusura sono per lo più dealer che hanno già effettuato investimenti importanti nelle piattaforme elettroniche.
Il fatto è che la chiusura del Ring scatenerebbe una concorrenza selvaggia sia con i trader che sono specializzati negli algoritmi estremamente sofisticati, sia con le banche che hanno delle strutture tecnologiche altamente qualificate. Non v'è dubbio comunque che il beneficio dello spostamento degli scambi dal luogo fisico a quello virtuale sia notevole.
Chiusura del Ring: un atto inevitabile?
Il Coronavirus ha messo tutti d'accordo, un pezzo di storia che se ne va. Tra un pò non ci saranno più quegli uomini rigorosamente in giacca e cravatta, sottoposti a rigidissime regole di condotta che trasmettono ordini urlando e agitando le mani.
Questo senso di comunità sarà l'unica perdita, secondo Malcolm Freeman, direttore di Kingdom Futures, che ha iniziato la sua carriera come impiegato del Ring nel settembre 1974. Per il resto i clienti sembra che abbiano accettato di buon grado la notizia sulla chiusura.
Matthew Chamberlain, amministratore delegato del LME, prende il lato positivo della vicenda. Gli scambi sono notevolmente aumentati negli ultimi 10 mesi, dopo che si è passati alla contrattazione elettronica.
Quindi a suo giudizio, sebbene la pandemia non deva essere un pretesto per la chiusura del trading floor, è giusto osservare come il volume di attività sia cresciuto tanto quanto il numero dei partecipanti. E questo è un aspetto che non deve essere trascurato, in quanto rende l'LME sicuramente un mercato più liquido rispetto a prima.
Prima dell'arrivo del Coronavirus e della relativa chiusura, gli scambi sull'LME sono cominciati a diminuire negli ultimi anni per via della crescente concorrenza dei future sul rame del Chicago Mercantile Exchange & Chicago Board of Trade e dei contratti sui metalli dello Shanghai Futures Exchange. L'anno scorso le contrattazioni si sono abbassate del 7% anche e soprattutto per via di fattori macro che hanno interessato le commodities. La pandemia purtroppo ha dato il colpo di grazia.