C’è un ETF che negli ultimi quattro anni non ha mai perso soldi, nemmeno nel 2018 e nel 2022, anni nefasti per l’azionario. Questo ETF è il VanEck Global Mining, un fondo a replica fisica totale nato nel 2018 e che ha saputo fornire all’investitore una performance dalla partenza del 80%. Non male, soprattutto perché ha ampiamente battuto l’inflazione.
Con un costo dello 0,5% annuo, l’ETF Global Mining replica l'indice EMIX Global Mining Constrained Weights che investe nelle società globali che operano primariamente nelle industrie di estrazione di metalli e minerali, sia sui mercati emergenti che in quelli sviluppati.
Il settore delle società minerarie ciclicamente torna sotto le luci della ribalta in seguito a tematiche correlate ai temi dell’elettrificazione, della decarbonizzazione, della salita del prezzo dell’oro, della Cina, di guerre o rivolte che riducono l’offerta, soprattutto quando vengono citate nuove tecnologie che per funzionare necessitano di minerali che si trovano allo stato solido estraibili solo da sotto il terreno.
VanEck Global Mining: tutte le caratteristiche di questo ETF
Il grafico dell’ETF di VanEck ci mostra la forte impennata nel valore dell’ETF poco prima dello scoppio della guerra in Ucraina; poi la correzione che ha trovato un nuovo impulso rialzista a fine 2022. Quali sono però le caratteristiche di questo ETF e soprattutto i suoi punti deboli?
Il primo punto di debolezza è prettamente legato alla gestione. La tracking difference misura appunto il differenziale di rendimento tra l’ETF e l’indice di riferimento. E la storia di questo ETF ci dice che dal lancio il gestore non è stato capace di recuperare i costi perdendo anche qualche punto base per strada.
Bene la capitalizzazione di mercato superiore ai 400 milioni di euro e bene anche il numero di azioni (167) presenti; per essere un tematico settoriale questa numerosità rende ben diversificato l’ETF. Le prime 10 società pesano però per circa il 50% del totale, con la sola BHP Group al 8%, mentre Rio Tinto, Glencore, Freeport e Vale arrivano al 5%.
La dipendenza da un drappello non così nutrito di società è un fattore di cui tenere conto assieme alla concentrazione geografica. Australia al 35%, seguita da Canada e Stati Uniti al 15% evidenziano una regionalità dell’investimento piuttosto spiccata.
Molto interessanti, come spesso accade, i numeri dei fondamentali di queste società fortemente cicliche ed influenzate dall’andamento dei prezzi delle materie prime. Il rapporto tra prezzo e utili è inferiore a 9, quello tra prezzo e valore contabile inferiore a 2.
In sintesi, un ETF, poco pubblicizzato ma forse il più efficace nel cavalcare il nuovo trend di batterie, auto elettriche, sostenibilità, perché tutto parte dalle materie prime e dalla loro estrazione. La temperatura del ciclo economico si misura partendo da qui, forse anche quella del reale incremento dell’utilizzo delle tecnologie sostenibili. Per chi crede alla sostituzione delle fonti fossili con quelle minerali l’ETF di VanEck sembra essere uno strumento molto interessante.