Le piccole capitalizzazioni rappresentano una di quelle asset class che storicamente dovrebbero essere in grado di fornire un premio aggiuntivo al rischio rispetto alle large cap. Non tutti i periodi ritornano la stessa risposta (è questo il caso dell’ultimo decennio), ma assieme all’azionario value le small caps fanno parte di quei tipici tasselli che gli asset allocator inseriscono nelle proposte di pianificazione di lungo periodo.
Da qualche anno allo stile small caps si è affiancata l’opzione sostenibile. Sotto la sigla ESG, infatti, gli operatori di fondi e ETF hanno cominciato a proporre strumenti socialmente responsabili in grado di soddisfare il desiderio di sostenibilità degli investitori.
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Tra questi segnalo oggi l’ETF Ubs Msci World Small Cap Socially Responsible. ETF giovane con poco più di un anno di storia, questo strumento replica l'indice MSCI World Small Cap SRI Low Carbon Select 5% Issuer Capped, ovvero le società a bassa capitalizzazione dei mercati sviluppati a livello mondiale. L'indice considera solo le società con un elevato rating ambientale, sociale e governativo (ESG) con un approccio best-in-class che esclude almeno il 20% dei titoli con merito di credito più basso rispetto all'universo dell'indice standard. Il peso della singola società può essere al massimo pari al 5% per evitare eccessive concentrazioni.
Un confronto con un altro ETF che replica l’indice Msci World Small Caps ci fa subito percepire la differenza, soprattutto di natura settoriale.
Geograficamente l’esposizione al mondo ESG determina un leggero sovrappeso di America. Nell’ETF di Ubs, infatti, gli Stati Uniti pesano per il 62% contro il 59% degli ETF standard (ho utilizzato quello di iShares a mero titolo di esempio). Questo determina una minore esposizione alle altre aree economiche come ad esempio il Giappone. In versione sostenibile all’8%, in quella tradizionale presente per l’11% del portafoglio.
Anche a livello settoriale le differenze non sono così clamorose. Se in un indice come Msci World Small Cap SRI Low Carbon le prime tre posizioni per settore sono occupate da industriali (19%), finanziari (14%) e IT (12%) con una presenza di energetici sotto al 5%, all’interno di un indice classico industria e finanza occupano sempre i primi due posti, ma la tecnologia è scalzata dal settore dei beni voluttuari. L’energia, a dispetto di quello che possono pensare la maggior parte degli investitori, pesa sempre quel 5%. Un match, quello dell’ultimo anno, che finisce in pareggio anche per quello che riguarda le performance. A giudicare da numeri e allocation nessuno sembra accorgersi della differenza.
Possiamo però utilizzare l’indice sottostante e non l’ETF per catturare performance un po' più approfondite. Msci sul suo sito istituzionale pubblica, infatti, statistiche di rendimento che partono dal 2014. Anche qui però il rebus meglio ESG oppure no, non sembra trovare soluzione. A distanza di oltre 8 anni la sostenibilità ha offerto un ritorno del 6,6% all’anno composto, l’indice tradizionale del 6,2%. Le riserve non possono quindi essere sciolte e soprattutto basate su backtest. Troppo giovane questa tendenza e soprattutto solo negli ultimi anni i bilanci aziendali hanno cominciato ad offrire informazioni più capillari.
Capiremo in futuro se investire in piccole capitalizzazioni orientate alla sostenibilità offre un concreto vantaggio anche di performance all’investitore rispetto al mondo tradizionale. Per ora l’investitore può comunque accontentarsi di un paraggio oltre al già citato soddisfacimento morale della maggiore attenzione ai fattori ambientali, sociali e di governance.