-
L’Ivy Portfolio rappresenta una sintesi dei portafogli di investimento delle Università di Yale e Harvard;
-
Un peso importante di azionario rende l’Ivy uno dei portafogli più volatili;
-
Dal 1972 al 2019 l’Ivy portfolio ha offerto un rendimento medio annuo reale del 6,4%
Dopo il Permanent, l’All Seasons e il Butterfly Portfolio, questa volta andiamo ad analizzare che cos’è l’Ivy Portfolio e come si è comportato nel passato (i dati di analisi si fermano al 31 dicembre 2019). Ivy Portfolio è descritto da Meb Faber in un libro che prende appunto il nome dal portafoglio e nel quale vengono dettagliate le strategie di investimento di due celebri Università americane, Yale e Harvard.
Ivy Portofolio: come è composto e suddiviso tra asset class
La torta dell’Ivy Portfolio viene divisa in 5 parti identiche con due asset cosiddetti alternativi come commodities e REIT. Quella che vedete qui sotto è la composizione ideale dell’Ivy Portfolio:
-
20% Azionario America
-
20% Azionario Internazionale ex - USA
-
20% Treasury Medio termine
-
20% Commodities
-
20% REIT
Anche in questo caso l’allocazione è tarata sull’investitore americano. Per un europeo è sufficiente sostituire l’azionario americano con quello mondiale portando al 40% l’investimento complessivo con un semplice ETF globale. L’obbligazionario a medio termine può essere sostituito con un obbligazionario governativo o aggregate globale con cambio coperto. Siamo quindi di fronte ad un portafoglio che contiene una componente obbligazionaria free risk di solo il 20% mentre tutto il resto è rappresentato da componenti volatili. Il 60% di azionario (compresi i 20 punti di REIT) e i 20 punti di commodities.
Ivy Portfolio: filosofia d'investimento e performance
Una filosofia dell’investimento questa che a mio modo di vedere rende eccessivo il rischio del portafoglio soprattutto nelle fasi di rallentamento e recessione. Viceversa lo rende molto performante nelle fasi di aumento dell’inflazione. Il portafoglio americano originale ha ottenuto dal 1972 al 2019 performance medie in linea con quelle del Butterfly (6,4%) ma con una volatilità molto più alta come era lecito attendersi (10,8% contro 8%). L’Ivy ha perso denaro nel 22% del tempo analizzato, passando il 44% del suo tempo a ruotare attorno al rendimento medio. Il drawdown più forte in termini temporali è stato del 32% con un tempo di recupero di 5 anni. Su base decennale il rendimento reale al netto dell’inflazione ha toccato un minimo a 1,8% con picchi superiori al 10% annuo all’inizio degli anni ’80.
Ripetiamo l’esercizio già messo in campo negli altri articoli destinati a questi portafogli. Ma se l’investimento fosse stato fatto su obbligazioni italiane per il 20% e su azionario mondiale cosa sarebbe successo? Il rendimento medio annuo reale di questo portafoglio è stato del 6,2% con una deviazione standard del 13,1% ed una perdita di denaro nel 28% del tempo. Il drawdown peggiore è stato del 35% e furono necessari 11 anni per recuperare le perdite. In termini di rendimenti reali su 10 anni rolling il peggior dato di rendimento fu quello del 1971 dove un investitore che avesse investito 10 anni prima avrebbe raccolto un risultato leggermente negativo. Il migliore nel 1991 quando venne sfiorato il 14% di rendimento annuo reale. Possiamo quindi dire che l’Ivy conferma di essere un portafoglio estremamente performante nelle fasi di mercato positive a costo però di una volatilità molto alta battendo in testa, come è ovvio, nelle fasi recessive.