-
Investire nei bond emergenti indicizzati all’inflazione può risultare un ottimo modo per diversificare i portafogli;
-
Le obbligazioni inflation linked emesse nel mondo emergente hanno fatto peggio del tradizionale tasso fisso nell’ultimo anno;
-
L’ETF di SPDR quotato a Francoforte permette di replicare un indice Bloomberg-Barclays concentrato su alcuni Paesi del mondo emergente
In un articolo precedente avevo commentato la quotazione di un ETF di SPDR dedicato all’investimento in valute emergenti con rischio di cambio coperto (Eur hedged). Ma esiste anche un’altra possibilità di investire in valute emergenti, ovvero quella di comprare obbligazioni indicizzate all’inflazione con il rischio valutario aperto.
Se l’investimento inflation linked è abbastanza conosciuto nel mondo occidentale (BTP Italia e TIPS sono due esempi), quello con sottostante bond emergenti rappresenta un territorio ancora poco esplorato. Solo nel 2004 sul mercato internazionale sono arrivate le prime emissioni che progressivamente hanno trovato sempre più favori in un mercato affamato di obbligazioni.
Paesi come Brasile e Israele sono leader in questo tipo di emissioni indicizzate e come vedremo dopo questo può anche essere considerato un limite. Sul mercato tedesco è quotato uno strumento quasi unico nel suo genere in Europa e che investe proprio in strumenti di questo tipo, lo SPDR Bloomberg Barclays EM Inflation Linked Local Bond (ISIN IE00B7MXFZ59).
L'indice sottostante è il Bloomberg Barclays Emerging Markets Inflation-Linked 20% Capped che replica i titoli obbligazionari legati all'inflazione emessi da determinati Paesi emergenti nella relativa valuta domestica. Ogni Nazione non può pesare per più del 20% sull’indice stesso.
I benefici dell'investimento in obbligazioni emergenti indicizzate all'inflazione
A questo punto vale la pena fare una considerazione. Investire in obbligazioni inflation linked offre una certa misura di protezione contro l’inflazione stessa, ma spesso i periodi di aumento dei prezzi coincidono con una svalutazione delle monete locali, determinando guadagni da un lato e perdite dall’altro per chi è esposto in titoli denominati in valute emergenti.
Non è sempre così, ma questa precisazione ci serve per comprendere come ad un beneficio si contrappone una zavorra. Quindi a cosa serve si chiederà qualcuno? Non certamente a fare l’affare del secolo, ma piuttosto a diversificare un investimento composito nell’asset class obbligazionario emergente.
Un’asset class che solitamente è costituita da sole emissioni a tasso fisso in valuta forte (dollaro USA) o valuta locale. Inserendo la componente inflation linked si diversifica il rischio tasso ed anche quello emittente. Nello scenario di mercato che abbiamo visto di recente gli inflation linked emergenti non sono stati premiati rispetto al tradizionale tasso fisso.
A 12 mesi infatti l'inflation perde il 13% contro il -6% del tasso fisso (versione Total Retunrn). Un risultato spiegabile con la discesa piuttosto intensa e repentina di tassi ed inflazione anche nel mondo emergente. Infatti l’ETF di SPDR vede Messico, Brasile ed Israele come i paesi più pesanti nella composizione. Il 20% di esposizione non è ovviamente paragonabile a quello di altri fondi in valuta locale, con Israele che è addirittura una novità.
Pesi importanti anche per Turchia e Sudafrica, al 15%. Quindi poche valute con una duration particolarmente lunga 8,5. Il rendimento reale alla scadenza (differenza tra rendimenti nominali e inflazione) dell’ETF sfiora il 2%. L’ETF è a distribuzione dei dividendi con spese correnti dello 0,55%.